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Il brano ci e' stato trasmesso da Delia Socci; rappresenta bene il forte
sentimento di italianita' degli emigrati italiani in USA. L'autore e la
data di stesura non sono noti. 22/2/2005
La Gioia Di Crescere
Italiano
Ero diventato adulto oramai
da tempo quando realizzai di essere un americano. Certo, ero nato in
America e lì avevo vissuto per tutta la mia vita ma per qualche ragione
non mi era mai capitato di pensare che il semplice fatto d'essere
cittadino degli Stati Uniti significava che fossi un americano. Gli
americani erano gente che mangiava burro di arachidi e gelatina su pane
bianco e molliccio uscito dai sacchetti di plastica. IO? Io ero un
Italiano
Per me, e così per la
maggior parte dei ragazzi Italo-Americani di seconda generazione
cresciuti negli anni quaranta e cinquanta, c'era una netta linea di
demarcazione tra NOI e LORO. Noi eravamo Italiani. Tutti gli altri- gli
Irlandesi, i Tedeschi, i Polacchi, gli Ebrei- erano "merican".
Non che ci fossero cattivi sentimenti tra noi, solo che - beh - noi
eravamo certi che il nostro fosse il mondo migliore. Ad esempio, noi
avevamo un venditore per il pane, uno per il carbone, un uomo del
ghiaccio, uno per la frutta e la verdura, uno per le angurie e uno per
il pesce; avevamo perfino un uomo che affilava coltelli e forbici che
veniva fino a casa, o almeno giusto lì davanti. Erano i tanti ambulanti
che vendevano nel quartiere italiano. Restavamo ad aspettare la loro
chiamata, le loro urla, il suono caratteristico di ognuno di loro. Noi
li conoscevamo tutti, e loro conoscevano noi. Gli americani andavano nei
negozi per comparsi quasi tutto il cibo. Che spreco!
Con tutta sincerità li
compativo per quello che si perdevano. Loro non conobbero mai il piacere
di svegliarsi ogni mattina e trovare una pagnotta calda e croccante di
pane italiano che aspettava dietro la porta a vetri. Ed invece di
riuscire a saltare sul retro del furgoncino di un ambulante un paio di
volte a settimana solo per rimediare un passaggio, la maggior parte dei
miei amici "merican" si doveva accontentare di andare all'A&P.
Quando si trattava di cibo, mi ha sempre stupito che i miei amici
americani o i compagni di classe mangiassero solo tacchino per il
Ringraziamento o a Natale. O meglio, che mangiassero solo tacchino, il
ripieno, purè di patate e salsa di mirtilli. Ora, noi Italiani - anche
noi mangiavamo tacchino, il ripieno, purè e salsa di mirtilli, ma -
solo dopo aver finito l'antipasto, la zuppa, le lasagne, le polpette,
l'insalata e qualsiasi altra cosa la Nonna avesse ritenuto appropriata
per quella festività in particolare. Il tacchino veniva di solito
accompagnato da un arrosto di un qualche tipo (giusto nel caso in cui
fosse capitato qualcuno a cui non piacesse il tacchino), ed era seguito
da una varietà di frutta, frutta secca, pasticcini, torte, ed -
ovviamente- biscotti fatti in casa. Nessuna festa era completa senza
qualcosa di preparato in casa e al forno, niente cose comprate nei
negozi per noi. E' qui che s'imparava a reggere un pasto di sette
portate tra mezzogiorno e le quattro del pomeriggio, come maneggiare le
castagne bollenti e ad affogare la pesca a fette nel vino rosso. Credo
davvero che gli italiani vivano con il cibo una specie di relazione
amorosa.
Parlando di cibo- la
Domenica era davvero il gran giorno della settimana. Era il giorno in
cui ci si svegliava con il profumo d'aglio e di cipolle che friggevano
nell'olio d'oliva. Fin da sotto le coperte si poteva sentire lo
sfrigolare dei pomodori che venivano buttati in padella. Di domenica
c'era sempre il sugo (i "merican" lo chiamavano
"salsa"), e i maccheroni (loro li chiamavano
"pasta"). La Domenica non sarebbe stata una vera Domenica
senza la Messa. Naturalmente non si poteva mangiare prima della Messa,
perché si doveva digiunare per la Comunione. Ma la parte bella era che
sapevamo che una volta arrivati a casa, avremmo trovato le polpette a
friggere, e non c'è niente di più buono di polpette appena fritte e
pane croccante immerso nel barattolo del sugo.
C'era un'altra differenza
tra NOI e LORO. Noi avevamo dei giardini, non giardini fioriti, ma
enormi giardini dove crescevano pomodori, pomodori, ed ancora pomodori.
Li mangiavamo, li cucinavamo, li conservavamo nei barattoli. Certo,
coltivavamo anche peperoncino, basilico, insalata e zucca. Ciascuno di
noi aveva una vite ed un albero di fico, ed in autunno tutti si facevano
il vino in casa, in gran quantità. Naturalmente, i giardini crescevano
così rigogliosi anche perché noi avevamo qualcos'altro che i nostri
amici americani sembravano non avere. Noi avevamo il Nonno. Non che loro
non ne avessero uno, è solo che loro non ci vivevano assieme, o nelle
vicinanze. Loro andavano a far visita ai loro nonni. Noi mangiavamo con
i nostri, e che Dio ci avesse scampato se non li avessimo visti una
volta a settimana almeno. Riesco ancora a ricordare quando mio Nonno mi
raccontava di come, da ragazzo, venne in America "sulla barca".
Di come la famiglia aveva vissuto in una casa affittata a Thompson St,
nel quartiere di "Little Italy" a New York, e di come si
sforzava di sbarcare il lunario; di come decise di non volere che i suoi
figli, quattro maschi e cinque femmine, crescessero in quell'ambiente.
Tutto ciò, ovviamente, nella sua personale versione di
Inglese-Napoletano che ben presto imparai a capire discretamente.
Così quando ebbe
risparmiato abbastanza, e non sono mai riuscito a capire come, comprò
due case nel New Jersey. La casa di Hoboken e quella di Long Brach alla
spiaggia a New Jersey che sarebbe servita come quartiere generale della
famiglia per i successivi quarant'anni. Mi ricordo che detestava
lasciarla, preferiva sedersi alla finestra a veder crescere il suo
giardino, e quando doveva proprio andare per qualche occasione speciale,
doveva tornare a casa il prima possibile. Dopo tutto "Non c'è
nessuno a guardare la casa". Mi ricordo anche le festività in cui
tutti i parenti si radunavano a casa del Nonno e c'erano tavole
imbandite e vino fatto in casa e musica. Le donne stavano in cucina, gli
uomini in salotto, e bambini, bambini ovunque. Ho molti cugini, di primo
e secondo grado. E mio Nonno, con i suoi baffi sottili e ben curati, se
ne stava nel bel mezzo di tutto questo, sorvegliando il suo regno,
orgoglioso di quanto bene i suoi figli avessero fatto.
Aveva raggiunto il suo
obiettivo venendo in America e nel New Jersey e sapeva che i suoi figli,
e i figli dei suoi figli, stavano raggiungendo tutti gli obbiettivi a
loro disponibili in quel paese per il fatto stesso di essere
Italo-americani, con quella forte etica italiana del lavoro. Quando
qualche anno fa mio Nonno morì a 89 anni, le cose cominciarono a
cambiare... Lentamente all'inizio. Le riunioni di famiglia si fecero più
rare e sembrava mancare qualcosa nonostante tutto, e quando ci trovavamo,
avevo sempre la sensazione che lui fosse lì con noi in qualche modo.
Era comprensibile, d'altronde ognuno ora aveva la propria famiglia e i
propri nipoti.
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