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PRIME ESPERIENZE IN  AMERICA

  

LE VISITE DEI PARENTI

 

 La visita dei parenti  da lontano, riunirsi, stare insieme per qualche giorno era una scena che si ripeteva in tutte le famiglie venute da poco. E siccome eravamo tutti parenti ed  amici le visite reciproche abbondavano. I nostri parenti d’America dopo tanti anni di residenza sentivano ancora la nostalgia del paese e della famiglia lontana. Erano ansiosi di notizie recenti e niente di meglio di sentirle dire in persona.

Avevamo parenti sparsi in diverse citta` e regioni.

Quando arrivarono i nostri da Detroit  dovemmo sistemarci alla buona.

Preparammo lettini e anche un materasso per terra, gli uomini dormivano in una stanza e noi donne in un altra. Andava  tutto benissimo, nessuno si lagnava. Eravamo insieme e questo bastava.

I parenti di Detroit  parlavano di meccanica essendo l’industria della loro citta’, nel Connecticut  si parlava dell’edilizia e della fabbrica di borsette, da New York  di sartorie dove le donne italiane erano molto ricercate, dalla Pensylvania di acciaierie. La sera dopo cena erano le ore piu’ belle  passate insieme. Ci radunavamo attorno al tavolo in cucina ad ascoltare le storielle che raccontavano mio padre e mio zio Paolo. Erano famosi per il loro modo di dire  una battuta o una barzelletta: le pause la cadenza e il tono che davano ad ogni parola facevano interessante e ilare anche la più semplice delle storielle.

Ma quel che tutti volevano sentire anche piu’ erano le notizie della madre, la cara nonna Rosa. Mi pareva di vederla  seduta a capo tavolo sorridere orgogliosa con tutti i figli e nipoti attorno a lei. La vedevo con le mani in grembo, il fazzoletto bianco  ripiegato sul capo, masticando una noce come faceva sempre alla fine di ogni pranzo. Era golosa di noci e ne aveva sempre una in tasca. Le zie si volgevano a me per farsi dire  tutto della madre. Io prima consegnavo le letterine che aveva mandato nonna, e che io avevo scritto per lei prima di partire, poi  distribuivo il formaggio, il salame e l’olio d’oliva che la madre aveva mandato.  Esse ricambiavano con la ‘busta”. Era d’usanza fare un regalino di soldi, in una busta, dai parenti ai nuovi arrivati per aiutare l’inizio della nuova vita. Io consegnavo la mia a mio padre, lui ne disponeva come credeva meglio.Raccontavo alle zie come la madre mandava mille  benedizioni. Dicevo come era stata brava a non piangere quando siamo partiti noi. Era rimasta sulla soglia del portone  con una mano appoggiata al muro e una nella tasca dello zinale a guardare la macchina che si allontava  e le portava via un altro figlio e un altra nipote lontano verso la “Terra Promessa”. Ascoltavano attentissimi. Si emozionavano al pensiero della madre che non avevano vista da  molti anni. Io continuavo, dicevo che la madre mi raccontava le storielle  di quando loro erano ragazze ancora tutte a casa.

Erano sarte e ricamatrici  rinomate le mie zie. Era un mestiere  rispettabile che le distingueva dalle altre ragazze, figlie di contadini.

Le mie zie non portavano il costume ciociaro, si potevano permettere bei vestiti fatti da loro. Domandai se si ricordavano del giorno quando la madre prima di uscire a fare la solita visita giornaliera alla grande casa di campagna fuori del paese lascio’ detto alle figlie di andare al mulino. Lascio' il sacco di grano, dovevano portarlo al mulino farlo macinare e riportare la farina a casa cosi al suo ritorno avrebbe preparato le tagliatelle per la cena. Ma nessuna delle tre voleva  farsi vedere col sacco in testa specialmente perche’ avrebbero dovuto attraversare la piazza piena di gente e non potevano “abbassarsi” a tanto. Una sorella puntava il dito al sacco di grano e diceva all'altra "vai tu'" ma nessuna si muoveva.

Al suo ritorno la madre non trovo’ la farina .Si arrabbio’ tanto con loro e le sgrido’ severamente. Le chiamo’ “facce toste” “presentose’. ‘chi vi credete ca sete”. Ma la cosa che le spavento’ di piu’ fu quando le minaccio’che le avrebbe fatto mettere il costume  da ciociara per dar loro una lezione d’umilta’. Allora mia madre che era da poco sposata  e viveva con loro per evitare conflitto tra madre e figlie, prese il sacco e ando’ al mulino. Ma non prima che mia nonna  sibilo’ “abbrevegnitevenne“ alle figlie. Comunque non  porto’ a termine  la minaccia del costume. Mentre io parlavo le tre sorelle annuivano col capo e ridevano e piangevano commosse di tanti bei ricordi.

No, non avevano dimenticato l’episodio. Lo ricordavano benissimo e il gentile gesto di  mia madre l'aveva resa anche piu' cara a loro.

Era ovvio che era molto amata e rispettata dalle cognate,le dovevano tanto dicevano. Mia madre era rimasta con mia nonna quando le figlie dopo sposate erano partite per  raggiungere i mariti in America. Mio padre era in Africa e le due donne sole avevano formata una invidiabile relazione di profondo affetto e rispetto reciproco. Si parlava tanto in paese della bella relazione tra suocera e nuora e la notizia era giunta alle orecchie dei figli in America.

Mia madre.......mia nonna .........le sorelle chissa' cosa faranno a quest'ora pensavo con nostalgia. 

Le serate insieme duravano fino a notte inoltrata. Io tutta intenta a raccontare ero diventata il centro dell'attenzione e mi piaceva tanto.

 Delia Socci Skidmore

 

 

 

 

 

 25 gennaio 2008

 

 

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