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STORIA DI UN EMIGRATO SETTEFRATESE
Vincenzo Di Preta
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Dodici figli, sette dei quali alle armi nella WWII, uno di
loro, il marine James, morto in combattimento all'isola di Tarawa nel
Pacifico.
Sette fratelli in guerra e` un record assoluto, che onora la famiglia di
Vincenzo Di Preta, un patriarca dell'emigrazione, ed onora anche la comunita`
Settefratese di Stamford e Settefrati, l'amato paese d'origine di questa
grande famiglia.
(Take a look : http://www.stamfordhistory.org/ww2_dipreta.htm)
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Di Delia Socci Skidmore

Quando Vincenzo Di Preta emigro`, come tanti giovani al principio del secolo
per la lontana ‘Terra Promessa”, aveva 18 anni. Arrivo` dopo un lungo e duro
viaggio di circa 30 giorni. Passo` per Ellis Island, l’isolotto dove tutti gli
immigrati dovevano passare per il controllo documenti e la visita
medica e fu tra i fortunati che poterono
passare mentre alcuni venivano
trattenuti per la per quarantena e altri ancora rimpatriati .
Vincenzo al suo arrivo si stabili a New York, ma dopo pochi anni torno` a
Settefrati per una visita a parenti e amici, al paesello che
non aveva mai dimenticato. Anche lui faceva parte degli “Birds of
Passage" , quegli emigrati che andavano in America, restavano pochi
anni e dopo aver guadagnato un gruzzoletto di soldi tornavano al paese
d’origine dove li attendevano le famiglie. A New York Vincenzo conobbe una
brava ragazza, anch' essa settefratese, Concetta Zezima, che
divenne sua moglie. Vissero a New York per qualche anno dove nacquero i primi
quattro figli. Poi si trasferirono permanentemente a Stamford dove
Vincenzo trovo` lavoro nella grande fabbrica di chiavi e serrature la “Yale &
Towne
Manifacturing” nella quale rimase fino al pensionamento. A Stamford
naquero altri otto figli. Vincenzo e Concetta ora vantavano una bella
famiglia di ben dodici figli. Alto e robusto con una imponente
statura Vincenzo Di Preta era chiamato the “Gentle Giant” ‘il gigante dal
cuore d’oro”. La sua statura e il suo portamento incutevano rispetto. A me
faceva un po` soggezione l’omone, pero` quando mi parlava e mi avvolgeva le
spalle col suo braccio si sentiva tutta la sua tenerezza da “ Gentle Giant”.
Era persona stimata e rispettata da amici e parenti. in famiglia lo chiamavano
affezionatamente “Big Jim” oppure the “God Father” . Oggi i numerosi nipoti e
pronipoti ricordano Grandpa`con amore e tenerezza. Ricordano come voleva
essere severo con lanumerosissima famiglia poi cedeva sempre a un sorriso o
carezza dei nipotini……ma “non sempre” aggiungono in fretta. Una delle nipoti,
Dawn, parla con entusiasmo della famiglia e aggiunge che si sente fiera di
farne parte. Con voce tremula dall’emozione mi dice come quando era
piccola facevano a gara a chi correva di piu` per arrivare prima a sedersi
sulle ginocchia del nonno. Dawn aggiunge che lei arrivava prima solo
quando dava qualche spintone a un altro concorrente. Poi saltava sul nonno e
si sedeva e sorrideva maliziosa. Grandpa Vincenzo rideva e si divertiva e
prendeva poi tutti a turno in braccio .Domando anche a un altra nipote,
Marlene, cosa ricorda del nonno,della famiglia, cosa le e`rimasto impresso nel
ripostiglio dei ricordi. Marlene, ora nonna anche lei, si entusiasma al
ricordo di quegli anni di tanto tempo fa. Sorride e con un velo di nostalgia
negli occhi mi racconta come ogni giovedi sera era rituale per “the
boys”, come erano comunemente chiamati, di radunarsi a casa del padre per
giocare a carte. Venivano tutti i fratelli, anche quelli sposati, nessuno
avrebbe osato saltare un giovedì: oh no!, grandpa non lo permetteva. E poi
aggiunge per noi era festa andare dal nonno perche`zia Palma aveva sempre
qualche cosa di speciale per tutti i nipotini. A zio Vincenzo
piaceva moltissimo giocare a carte napoletane e aveva insegnato ai figli :
sembra che avesse ancora un mazzo di carte napoletane che aveva portate con
se` gia dal primo viaggio .Marlene ride allegramente al ricordo di quel mazzo
di carte logore dal tempo e che il nonno conservava gelosamente avvolto in un
panno e sistemate sullo scaffale. Mentre i ragazzi giocavano in cantina la
sorella Palma cucinava il soffritto di cui erano golosi e faceva macchinette
napoletane di caffe`espresso e biscotti. Era
un rituale che si ripeteva ogni giovedi`e la tradizione continuo` per molti
anni. Come se dodici figli non fossero abbastanza, l’estate venivano anche i
cugini da New York a passare qualche settimana di vacanza. I Di Preta
abitavano vicino al mare e la casa d’estate era meta di amici e parenti che
volevano passare un po` di giorni a godersi il sole. La famiglia continuava a
crescere rapidamente quando cominciarono a sposarsi i figli e si aggiungevano
nuore, generi e nipoti. La Domenica e le feste ricordevoli era
obbligatorio per tutta la famiglia di radunarsi alla casa paterna per il
pranzo. La nuora
Iginia una arzilla vecchietta novantaquattrenne
vive ancora sola e si vanta che ancora fa tutto da se, eccetto lo shopping.
Quando sono andata a visitarla mi ha accolta calorosamente. Mi ha fatto fare
il tour della sua casa che lei tiene in ordine e ben organizzata. Le pareti del
salotto sono coperte di vecchie foto di famiglia. Mi indica tutti i personaggi
delle foto e descrive chi sono e cosa facevano. Ogni tanto riposa e mi dice che
purtroppo non ricorda bene tutto. A me pare che ricordi anche troppo bene per
l’eta`che ha. La prima nuora di zi' Vincenzo ricorda come da giovane
sposa avrebbe desiderato restare a casa sua con il marito la Domenica ma non
avrebbe mai osato dire di no a zi' Vincenzo. Era molto severo ma voleva bene a
tutti. Iginia parla con molto amore e rispetto della suocera Concetta che lei
descrive come una santa donna. Infatti, mi dice ridendo, che lei diceva sempre
al marito che lo aveva sposato solo perche` amava tanto sua madre. Iginia e
Susanna, l’altra nuora ancora vivente, ricordano Concetta sempre con un bimbo
in braccio e uno attaccato alla gonna. Al pranzo domenicale partecipavano una
moltitudine di ospiti. Erano circa trenta ora e non tutti potevano
sistemarsi attorno alla grande tavola in cucina. I più piccoli si arrangiavano
alle altre stanze attigue, altri sotto il portico o dovunque
potevano trovare un posto a sedersi. Posso solo immaginare quante ore ci
volevano per lavare tutti i piatti e risistemare la casa. Non mi risulta che
allora avevano la lavastoviglie. Zio Vincenzo sedeva a capotavola, posto
d’onore per il patriarca della famiglia. Aveva sempre accanto a se un fiasco
di vino che faceva lui e riempiva i bicchieri ai commensali. Il pasto finiva
sempre con caffe` espresso paste e biscotti. I figli erano nati tutti in
America ma le tradizioni che osservavano erano italiane, anzi settefratesi.
Dopo il pranzo i piu’ piccoli si radunavano attorno alla tv con i padri a
guardare le interminabile partite di baseball. Altri andavano fuori a farsi la
partita a bocce. Qualcuno accudiva l’orticello con pomodori
insalata, fagiolini e spezie. I teen agers invece si appartavano nella
camera che zia Palma metteva a loro disposizione: cosi potevano parlare
indisturbati di cose “importanti”. Le donne dopo aver
risistemato tutto si sedevano accanto al tavolino della cucina a parlare del
piu` e del meno della famiglia. Erano tutti allegri e socievoli e la casa risuonava
dalle animate conversazioni tra fratelli e sorelle. Ma la vita serba sempre
brutte sorprese e cosi` fu anche per i Di Preta. Concetta, la madre, si spense
all’eta di 46 anni. Lascio`un grande vuoto e dolore in tutta la numerosa
famiglia e Vincenzo profondamente addolorato e sconvolto. La vita quotidiana
come anche feste e riunioni cessarono di esistere mentre la famiglia cadde
nella piu`profonda tristezza senza l’amore e la guida della madre. Dopo
la scomparsa di sua moglie Vincenzo divenne taciturno, si ritiro` in se
stesso, non usciva piu`. La sua voce tonante e le sue allegre risate non
risuonavano piu` nel grande vuoto della casa senza Concetta. Il grave peso
della numerosa famiglia cadde sulle spalle della figlia Palma. La piu` grande
delle due figlie, era sposata e col marito vivevano nella casa paterna. Fu lei
a prendere le redini e le responsabilita` della famiglia e a fare le veci
della madre. Li guido`con l’aiuto della sorella Mary ed insieme
ristabilirono un po` di normalita`. Vincenzo aiutato dall’amore dei figli e
nipoti comincio` a riprendersi ma la mancanza dell’affetto e del sostegno
della moglie lo aveva cambiato. Ogni Domenica
mattina, dopo la Messa, si faceva accompagnare al cimitero da uno dei figli
per visitare la tomba di Concetta poi a casa dove l’aspettava la tavola
imbandita apposta per lui. Palma gli faceva trovare il caffe`pronto,
con paste e biscotti e, piu tardi, panini di soppressata, prosciutto, formaggio
e due bicchieri di vino. Zio Vincenzo seduto a capo tavola, come sempre,
mentre faceva colazione riceveva figli e nipoti un gruppo la volta. L’estate
li aspettava all’ombra della pergola che aveva piantato tanti anni
prima. Crescevano sempre piu` numerosi e non si potevano ospitare tutti
insieme come prima. Il via vai durava quasi tutta la giornata e a lui piaceva
riceverli tutti. Chiamava i nipotini accanto a se`e li coccolava li
abbracciava se li faceva sedere vicino e loro circondavano l’omone, felici
come tanti angioletti .
UNA
SCAMPAGNATA
Ricordo il primo anno che arrivai dall’Italia. I settefratesi di Stamford
celebravano la festa della Madonna di Canneto con una gita pic nic in una
campagna fuori citta`. Era
una grande campo con tavoli e banchi e un capannone con un focolare dove si
vendevano bibite, hot dogs ed hamburgers. I primi ad arrivare al campo la
mattina della festa erano i fratelli Di Preta con zio Vincenzo. Venivano
presto, prima degli altri, per riservare tavoli per loro e tutti gli amici.
Arrivavano con due o tre auto e un camioncino pieno di tutto l’occorrente per
per il pic nic Italian Style. Arrivavano carichi di sedie, pentole, utensili,
piatti, tavolinetti piegabili, tovaglie da tavola e una scorta di tutto il
cibo immaginabile. Il cibo poteva essere gia` preparato o da prepare al pic
nic. Tra figli nuore e nipoti, cugini ed amici erano almeno una quarantina.
Zio Vincenzo sequestrava il focolare dentro il capannone per la sua famiglia.
Gli altri potevano arrangiarsi con l’allestire un focolare fatto di un cerchio
di pietre e rami d’albero. All’ora stabilita, dopo la celebrazione della Santa
Messa e la processione con le frasche e i canti ed inni alla Madonna di
Canneto, le donne Di Preta preparavano la tavola mentre gli uomini
accendevano il fuoco sotto il pentolone per cuocere la pasta, proprio come si
faceva su a Canneto. La tavola ovvero le tavole per i Di Preta venivano
imbandite con tovaglia, tovaglioli, piatti e posate che portavano da casa.
Di piatti e posate di carta e di plastica non se ne parlava nemmeno. Racconta la nuora Susanna che
i piatti per la scampagnata venivano conservati da
parte dentro scatole di scarpe, per essere usati solo per quella occasione.
Dopo il pranzo come di solito facevano anche a casa ,“the boys” con
altri amici si facevano la partita di bocce. Le voci eccitate da chi faceva un
buon tiro o “tuzzava” echeggiavano per tutto il campo. A sera ricaricavano
macchine e camioncino e tornavano a casa.
JIMMY L`EROE CHE NON TORNO`
La famiglia di Vincenzo Di Preta si e`distinta con onore durante la seconda
guerra mondiale. Ben sette dei figli di Vincenzo furono richiamati a servire
nell’esercito americano. Nel 1941 il giovane Jimmy si
arruolo` nei Marines, si uni' a suo fratello maggiore Nick anche lui gia'
arruolato. Dominick con la guardia costiera. Tony con la Marina Militare,
e Victor e Tom ed il piu' giovane John anche lui con l’esercito. Probabilmente i
Di Preta detengono il primato riguardo al numero di parenti che
contemporaneamente prestarono servizio militare in guerra. Si sa che un’altra
famiglia dello Stato del Minnesota aveva anche sette figli militari ma
solo sei furono in combattimento oltre oceano mentre tutti e sette i fratelli
Di Preta furono in combattimento contemporaneamente.
Notizie sull’episodio sono stati ripresi da un articolo apparso sul giornale
locale “ “The Stamford Advocate” che la famiglia Di Preta ha messo a mia
disposizione e narrata da un Mr. Pavia anche lui Marines. La guerra verso la
fine del 1943 si abbatte`con tutta la sua furia nel Pacifico, il sud-est
asiatico e nell'area sud occidentale del Pacifico. Il 20 Novembre 1943
scoppio` una furiosa e sanguinosa battaglia
per l’Atollo Tarawa tra Marines e truppe giapponesi. In combattimento per i
fratelli ci furono diversi momenti pericolosi, che li sfiorarono da vicino,
ma a Tarawa ci fu la tragedia. Tarawa era un isola nel Pacifico occupata
dai giapponesi. La Seconda Divisione Marines di circa 700 uomini incluso Jimmy
Di Preta attaccarono l’isola e cercarono di sbarcare. Solo 100 ci
riuscirono. I primi giorni furono i peggiori da parte della Seconda
Divisione Marines. I Giapponesi erano trincerati nei fortini sulla spiaggia.
Spararono ai Marines quando cercavano di sbarcare e li fecero a pezzi.
Aerei e navi americane bombardarono l’isola. Ma i giapponesi erano sicuri in
100 fortini rinforzati con mura di cemento con spessore di 8 piedi. I
Giapponesi avevano 25 cannoni molto potenti e 14 carri armati seppelliti sotto
la sabbia. I Marines erano un obiettivo facile per il fuoco dei mortai e delle
mitragliatrici. I mezzi anfibi da sbarco che li trasportavano
esplosero in mille pezzi. “I corpi galleggiavano sull’acqua che divenne rossa
per il sangue.Cosi ricorda Peter Olson che assisteva la battaglia dal
cacciatorpediniere “USS Ringold” che bombardava le posizioni giapponesi
dalla costa : “Giovani soldati, il modo in cui vennero colpiti, i loro corpi
furono completamente sfigurati. Non lo dimentichero’ mai.” Un altro Marines,
Fred Workman, anche lui assistette all’assalto e ricorda come l’artiglieria
sparava in continuazione, di notte il cielo era acceso come se stessero
sparando fuochi d’artificio. Quando la battaglia finalmente fu vinta 1069
marines avevano perso la vita e ben 2391 furono i feriti. Jimmy Di Preta fu uno dei 1069 che
morirono all’isola. Dei 5000 giapponesi che difendevano l’isola solo 17
sopravvissero alla sanguinosa battaglia. Intanto a Stamford la notizia della morte di Jimmy affranse la famiglia. Il fratello John allora sedicenne apprendista nella Yale and Towne dove
lavorava suo padre ricorda come il telegramma arrivo`e fu comunicato al
padre. Quando Vincenzo apprese la triste notizia, lo dovettero
trascinare fuori. John disse che Jimmy era il suo favorito e aggiunge
che il padre non si e` mai rimesso dalla morte di Jimmy. Il sacrificio di
Jimmy Di Preta e gli altri marines che perirono a Tarawa probabilmente aiuto`
di seguito a salvare la vita di altri soldati. La salma di Jimmy ritorno` a
Stamford per la sepoltura. Malgrado la terribile perdita del figlio,Vincenzo
Di Preta, un emigrato Settefratese fu contento di sapere che la sua famiglia
aveva fatto la sua parte nella guerra per la liberazione dell’Europa e aveva
dato il sangue di un figlio. “Mio padre ne fu orgoglioso” conclude il figlio
Tony: “mio padre era un fiero Italo americano”. La citta` di Stamford dedico`
un piccolo parco nel Cove Road a Jimmy Di Preta con placca
commemorativa. Il vecchio patriarca si e`spento il 6 dicembre, 1977
a 92 anni di eta`.
Delia Socci Skidmore
21-6-2007