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SETTEFRATI,
novembre,---
1938[?]
Il
Duecento e il Trecento , fra l’altri, furono in letteratura i secoli delle
“Visioni” ultraterrene. Il mistero dell’oltretomba, vivo negli uomini di
tutti i tempi e secondato a quell’epoca da una diffusa e quasi morbosa
curiosita’ dell’al di la’, fu il nucleo delle Visioni predantesche.
Questo
genere letterario, allora di moda, dipingeva a forti tinte i supplizi
del
tempo futuro per indurre i peccatori al pianto
della penitenza. Un ignoto e fantasioso … regista , a quanto ci racconta G.
Villani, cerco’ di realizzare scenograficamente un pittoresco quanto terribile
scenario di oltretomba. Aveva promesso il banditore al popolo fiorentino “di
partecipargli secure notizie dell’altro mondo”. Era il primo maggio
del
1304, e la gran folla accorsa rimase stupita e
anche impaurita nel vedere costruito sul fiume
Arno
, dove taluni “in sembianza atrocissima di
demoni” simulavano di lanciare sopra accesi roghi i finti dannati. Ma ad un
tratto il ponte sprofondo’ per il peso eccessivo e gli attori di questo famoso
“Spettacolo fiorentino” andarono direttamente, come si disse celiando, a
prendere notizia dell’altro mondo. Ora fra le numerose Visioni medioevali,
quella di Frate Alberico da Settefrati, parve ai dotti fosse un seme gittato fra
le idée di Dante che poi fecondo’ mirabilmente. Probabilmente Dante ne lesse
il manoscritto autografo nell’archivio di Montecassino o una delle copie in
qualche Monastero Benedettino di Firenze. Chi era Alberico? Nato nel Castello di
Settefrati, come ci racconta il cronista Pierto Diacono, nel 1201,-ossia 64 anni
prima di Dante- a nove anni compiuti si ammalo’
gravemente cosi’ da restare per nove giorni e nove notti immobile e
senza senso come se fosse morto> ebbe in quell tramortimento una meravigliosa
visione , per la quale si indusse a vestire l’abito monacale nel vicino
monastero di Montecassino. Le mirabili cose vedute nel suo sogno egli racconto’
ingenuamente a quei monaci e divenne il modello di una santa astinenza: mai piu’
mangio’ carne ne’ bevve vino, in nessuna stagione uso’ le scarpe e sempre
visse in umilta’ di cuore. Fu cosi’ che il rozzo sogno apocalittico sognato
dall’estatico fanciullo […] terra di Settefrati si raggentili’ e si sereno’
nell’Abbazia veneranda che slanciata nell’azzurro s’affaccia solenne e
maestosa sui secoli.
A
volo d’uccello –
del
resto lo stesso Alberico visita I regni
oltremondani sospeso al becco di una candida colomba – spigolero’ nei
cinquanta capitoli in latino della Visione, poiche’ lo spazio non mi consente
di darne compiuto esame. In un limbo singolare, tutto avvampato da bragie di
fuoco, si purgano I bambini di un anno, poiche “anche il fanciullo di un sol
giorno e’ peccatore”.
Le Pene dell’Inferno e il fiume del
Purgatorio.
In
una terribile valle di ghiaccio sono sommersi gli adultery che il gelo
– Troppa ardenza fu nella loro vita ! – consuma come farebbe il fuoco piu’
vivo.
Piu’
la’, in un’altra valle, le donna che rifiutarono il loro latte ai piccini
rimasti orfani,, facendoli morir
di
fame, sono agganciate per le mammelle ad alberi spinosi ed aguzzi. Dolce
consuetudine popolare che ancor persiste nel mio paese di dare ad allattere
senza compenso alle vicine di casa, come cosa che s’impresti, I piccolo orfani
o quelli la cui mamma non ha latte. Le adultere, nella medesima valle sono
sospese per I capelli sulle fiamme ardenti.
I
lussuriosi salgono sino ad un certo segno una enorme scala dai gradini ardenti
che emette tali scintilla “da far pensare al ferro quando
si estrae dalla furnace” (sfavilla qui nel mio ricordo il verso cosi’
potentemente dantesco: “ Qual ferro
che
bogliente esce dal fuoco”); ma poi per il bruciore precipitano in un caldaione
pieno di olio pece e resina bollenti. Fasciati da globi di fuoco avanzano coloro
che non furono signori bensi’ tiranni dei poveri servi della gleba. Anche in
Alberico, dunque, riluce una piu’ alta giustizia sociale e cristiana,
precorritrice di tempi piu’ miti. Dei medesimi globi di fuoco appaiono avvolte
le criminali della maternita’ o , come le chiama il Visionario, le omicide
delle proprie viscere , cui I figli non nati non perdonano di averli privati
della dolce vita. I parrocchiani che soffersero senza ricorso le iniquita’ e I
sacrilege di indegni sacerdoti – si sente in atto lo spirito riformatore di
Ildebrando – si cogiolano dentro un vaso di immense proporzioni in cui bronzo,
piombo, stagno bollono sopra il gran fuoco come olio nella padella (ac sic oleum
in frixorio). Davanti alla bocca di un verme di smisurata grandezza che
custodisce
l’entrata
del
baratro infernale si agita una grande
moltitudine di anime. “ Questo verme tirando il fiato tutte insieme le
assorbiva e le inghiottiva a guisa di mosche , respirando poi tutte insieme le
rigettava infuocate, come tante faville”. Non pare uno di quei prodigiosi
giocattoli moderni ancora da idearsi? Un cane ed un leone -
spiriti maligni – con un vento fiammeggiante e sulfureo che esce dalla
loro bocca (si ricordi in Dante l’agitarsi dell’ali di Lucifero che
agghiaccia tutto Cocito) accendono tutti I tormenti infernali ai quali le anime
sono sospinte a guisa di fuscelli “ come quando un turbine violento innalza la
polvere dalla faccia della terra”.
Non
ricorre spontaneo sul verso di Dante cosi’ pieno di dinamismo:” Come la rena
quando turbo spira”? Credo cosi’ d’aver dato un’idea approssimativa di
questo terribile inferno di Frate Alberico in cui appaiono distese abbaglianti
di ghiaccio, rosseggianti laghi di fuoco e sterminati incendi, echeggiano
disperate strida tra il flusso incandescente di fusi e crepitanti metalli.
Dall’inferno si diroccia un gran fiume di pece ardente in mezzo al quale si
erge un ponte di ferro assai largo: e’ quest oil purgatorio della nostra
Visione.
Udite!
Le anime dei giusti transitano agevolmente per esso ponte, perche’ esenti da
colpe; ma quando invece quelle dei peccatori sono giunte nel
mezzo, la sua larghezza si assottiglia talmente che si reduce a quella di
un semplice filo . Precipitano percio’ dentro il fiume, e di nuovo ricadendo
seguitano ivi ad esser tormentate a guisa di carni lesse (in morem cornium ex
cocti) per passare poi il ponte soltanto a purificazione avvenuta.
Il potere di una lagrima e la Gloria del
Paradiso.
San
Pietro racconta ora ad Alberico queso mirabile episodio. Un ricco signore si era
operdutamete inamorato di una bellissima
donna,
moglie di un suo amico, la quale pero’ recisamente gli si oppose. Essendo pero’
il suo sposo caduto prigioniero dei Saraceni, ella non avendo piu’ che vendere
per pagarne il riscatto, si reco’ dal ricco signore per offrirglisi pur di
avere la soma occorrente alla liberazione
del
marito. Ma ecco che a
tanta
grandezza d’animo il ricco ha come una crisi
di coscienza, incomincia a tremare e piange amaramente ricordandosi delle sue
passate malvagita’. Senza abusare della donna, le offer generosamente il
danaro per il riscatto
del
suo sposo, e d’allora in poi cambia in bene il
suo sistema di vita. Muore tempo appresso questo ricco
[….] che assiste all’agonia
del
peccatore convertito “vide un demonio e un
angelo ognun dei quali cercava di Afferrar quell’anima. Allora il demonio
asseri’ che mai il ricco aveva operato nulla di buono e presento’
all’Angelo
del
Signore un gan libro in cui erano registrati
tutti I suoi peccati. Ma l’Angelo fattogli aprire il libro, verso’ su quelle
pagine, da un’ampolla ove le teneva rinchiuse , le lacrime sparse da quell
ricco per la prigionia
del
marito di quella donna e in pentimento delle sue
colpe. Fece poi chiudere il libro al demonio e quindi glielo fece riaprire.
Ohmeraviglia! Si trovo’ cassata la terza parte delle colpe. Essendosi poi cio’
ripetuto per tre volte si trovarono cancellati tutti I peccati
del
ricco al quale si schiusero percio’ le porte
del Paradiso”.”Episodio questo, scrive il d’Ovidio, pieno di morale
sublimita’ e di gentilezza poetica in cui gia’ tralucono intenzioni
dantesche e che, se piu’ somiglia a un sermone del Passavanti, arieggia pure
alla lontana un canto del Purgatorio”. Dall’ameno giardino del Paradiso
terrestre, Alberico viene trasportato dalla colomba per I sette cieli del
Paradiso. Nel settimo – una specie d’Empireo – c’e’ lo sfolgorante
trono di Dio e attorno ad esso I cori dei Santi e I Cherubini cantano l’osanna
sulle penne dei venti. Scialbo
e sommario questo Paradiso alberichiano. A me torna in mente l’osservazione
del Montesquieu “che la immaginazione umana fu sempre di una fecondita’
terribile nella rappresentazione dell’Inferno , fu infelice in quella del
Paradiso”. Perche’? La tristezza segreta di ogni essere umano vi puo’
rispondere. Poi Alberico vede in una chiesa di Galizia ub Crocefisso che su di
una secchia di cristallo piange di continuo I peccati degli uomini . Il
Visionario ci fa ora una simpatico descrizione di San Pietro rispondente forse,
come verosimilmente pens ail prof. Mirra, alla statua di quell santo venerate
allora nella umile chiesa
del
paese di Alberico:” La sua statua non era ne’
alta ne’ bassa ma media e giusta, di complessa corporatura, di volto piuttosto
grosso, col capo asperse di canizie”. Ormai il piccolo veggente si desta , la
visione e’ svanita. Ma l’estatico fanciullo, ora guarito, da’ l’addio a
tutte le cose…
Bussa
al cancello di Montecassino . E li’ la morte lo cogliera’ […]
del
lavoro e della preghiera, lontano dai monti
native che si scorgono laggiu’ all’orizzonte!
Cultura
e fantasia popolare.
In
una visione predantesca e’ raffigurato Lucifero seduto tranquillamente a
tavola, che quando gli vengono presentati I peccatori arrostiti su di una
graticola ardente mai li trova ben cotti e sistematicamente li rimanda indietro.
Nella
Visione di Alberico, per quanto rozza, non si trovano tali bizarre scene di …
cannibalismo. Vi si nota invece, come scrive lo Zingarelli, “ un pensiero piu’
serio e meno ingenuo” e, come scrive il d’Ovidio, “un non so che di piu’
letterario. Si comincia insomma ad uscire dalla inconsapevolezza e dalla
scucitura delle altre visioni europee e vi albeggia il sentimento dell’arte”.
Il prof. don Antonio Mirra, quanto alla genesi, distingue nella nostra visione
elementi letterari-culturali che il monacello veggente trovo’ a Montecassino
ed elementi dovuti alle fantasiose e paurose leggende popolariche Alberico porto
da Settefrati. Proprio nell’atrio di una suggestive e antica chiesa di questo
mio paese –
Santa Maria
delle Grazie – incassata nella roccia, vi e’
un rozzo affresco, forse della fine
del
‘500 ,
del
Giudizio Universale. Vi e’ in alto un Cristo
Giudice, nelprimo mediano avanza da sinistra una processione di patriachi, di
beati del Cielo e di eletti della terra, preceduta da
S. Petro
con le chiavi d’oro; da destra, quasi in ordine di grado, procedono
pontefici, cardinali, vescovi, monaci e monache. Che festa di colori nei
paramenti sacri smagliantie in quelli profane di quattrocentesca leggiadria! Nei
giorni di sole mi pare che di tra la curva dei tre archi
del
pronao quegli eletti si riversino salmodiando e
benedicendo alla vita sulla campagna d’argento. Piu’ sotto le angeliche
trombe annunziano il “Giorno dell’ira” con clangore terrificante (ma
intorno a me belano I greggi nell’ora della “rientrata”) a una povera
umanita’ che si torce terrorizzata e abbrividisce ignuda fra rapinose ondate
che sommergono paesi e campagne. Come suggestivo questo dipinto al mio cuore
amoroso!
E’ appunto quell non so
che dio dimesso, di paesano, e’ quella simpatico freschezza di primitive che
mi commuove nella visione e nell’affresco di molto poteriore. E mi tumulta
pure indefinito nell’anima quell non so che di misteriosamente e paurosamente
sognante che la gente della montagna –chissa’ perche’? – ha giu’ giu’,
inconsapevolmente , in fondo al cuore.
E’
forse il riflesso di unpessimismo sereno acquisito da questi elementary nella
dura lotta contro la roccia? In q
uella
chiesa si addensa tutta la dolcezza sgomenta della mia infanzia. Oh, I racconti
dal brividio soave tramandati di generazione in generazione! Udite questa fiaba
che accanto al lume a petrolio racconto’ a me bimbo una cara vecchietta.Una
femminetta, andando una notte a legnare, vede questa chiesa spalancata, tutta
scintillante di ceri , odorosa d’inmcenso, prostrate sotto la gola canora
dell’organo. Attratta dal vortice di luce, tra curiosa e paurosa, si avanza
piano piano.. entra in quell fulgore. Ed ecco tra la folla una comare morta da
tempo, la riconosce, le si fa accosto e , dopo le effusioni, a raccontarle che
li’ son tutti morti e a consigliarle con sommessione di andar via perche’
tra poco le porte si serreranno ed essi
-
ombre e nient’altro – torneranno nell’al di la’.
La donna
si affretta ad
uscire .. e’ appena uscita e tutto ripiomba nella tenebra. Quante fiabe… che
belle … come lontane!...
Tali
sono “le novella straordinarie” – riporto ora le parole ispirate del Mirra
– che il popolo raccoglie
e
sviluppa e I vecchi piu’ pensierosi e interessati del loro destino trasmettono
ai fanciulli ; descrizioni particolareggiate, minute, pittoresche vivaci di pene
e tormenti inumani che nelle sere di veglia nei casolari, press oil focolare, si
riflettono negli occhioni dei piccolo da cui e’ fuggito il sonno e popolano di
fantasmi gli angoli bui; il vento ulul;a di fuori e sembra “ il gemer lungo di
persona morta”;
un brivido di
terrore costringe I fanciulli a nascondere il viso tra le gone della mamma. E’
cosi’ che Alberico nel delirio della febbre, sognera’ di essere portato a
volo nei regni bui e in quelli della luce.
Gaetano
Venturini
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