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Mons. Dionigi Antonelli xxx

 

La chiesa di S. Maria di Canneto:

dalle antiche costruzioni all’attuale ristrutturazione generale

 

(secc. XV-XX)

 

 

 

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7 marzo 2009

 

 

 

 

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1. Premessa

2. La chiesa nel 1475. Il primo restauro storico

3. Nei primi decenni del sec. XVI: incrementi edilizi

4. Il primo prolungamento della chiesa. Reliquie e devozione popolare, nella medesima epoca

5. Unione del beneficio di S. Maria di Canneto e della sua Chiesa al Seminario di Sora (1569)

6. La Valle di Canneto e la sua Chiesa nel 1574

7. La chiesa di S. Maria di Canneto nel 1595

8. Le reliquie di S. Maria di Canneto traslocate nella chiesa di S. Stefano di Settefrati (1618 circa)

9. Il patrimonio fondiario di S. Maria di Canneto nell’agosto 1619

10. Un pellegrino scrittore a Canneto nell’anno 1633. Il primo diario di una visita al santuario

11. La chiesa di S. Maria di Canneto nel 1639-1642.

12. Pellegrinaggi a Canneto dal limitrofo paese di Picinisco (1639-1665). Nasce il culto di S. Anna

13. Lascito testamentario di d. Giovanni Macari di Settefrati (25 settembre 1656). Copertura a scandole della chiesa. Il primo eremita

14. La chiesa di Canneto nell’ultimo scorcio del sec. XVII: il nuovo tetto a canali e la nuova nicchia alla Madonna (1691-1695)

15. Visite pastorali nel maggio 1707 e 1710: i primi cenni storici della statua della Madonna di Canneto (1707)

16. La chiesa di S. Maria di Canneto menzionata nella monumentale opera storica del Gattola di Montecassino (1734)

17. Pellegrinaggi di Picinisco a Canneto per pubbliche necessità dal 1726 al 1755

18. Nel gennaio 1749 gran parte del patrimonio fondiario di S. Maria di Canneto era situato in territorio di Settefrati.

19. Relazioni dei vescovi sorani alla S. Congregazione ("Ad limina") nella seconda metà del sec. XVIII. La prima notizia della chiesa di S. Michele Arcangelo di Pietrafitta (1751).

20. Rinvenimento dell’ex-voto alla dea Mefite (1786). Opinioni contrastanti sul sito del ritrovamento.

21. La reale Ferriera di Canneto (1780-1850)

22. Nel 1805: una costruzione a Canneto destinata ai soldati ("in statione militum")

23. La chiesa di Canneto nei primi decenni del sec. XIX

24. La prima notizia storica dei 5 giorni della festa (18-22 agosto 1831)

25. Viaggio di un inglese a "Nostra Signora di Canneto" nell’agosto 1846

26. La chiesa e gli ex voto di Canneto nel 1846. Il "sogno" di fra Alberico da Settefrati

27. I restauri della Chiesa nel 1853. L’Epigrafe del vecchio portale (1857).

28. Nel 1855 Mons. Montieri riduceva a due le parrocchie di Settefrati e prendeva iniziative per una comunità religiosa in paese anche per l’assistenza agli operai della ferriera di Canneto.

29. Il brigantaggio sulle montagne di Canneto (1861-1870)

30. Confisca di tutti beni della Cappella di S. Maria di Canneto e degli altri benefici della Diocesi uniti al Seminario di Sora. Il pio Istituto ridotto al lastrico.

31.  La chiesa di Canneto dopo le spoliazioni del 1868. Dalla relazione del 1874 dell’arciprete d. Lorenzo Venturini di Settefrati

32. La situazione edilizia e spirituale della chiesa di Canneto nella relazione del 4 maggio 1874 dell’abate Loreto Terenzio di Settefrati al vescovo di Sora

33. Il piccolo organo a canne (c. 1885)

34. Nuovo restauro ed ampliamento della chiesa.

35. Il ricovero dei pellegrini o foresteria (1891-1894)

36 La "voce" della stampa nella seconda meta del sec. XIX: appare il popolare inno alla Madonna di Canneto (1874). Un'elegia alla Vergine (1883).

37 Nell'agosto del 1903 il vescovo di Sora mons. Antonio lannotta fu presente a Canneto durante le feste della Madonna. Lavori di riparazione alla chiesa.

38 II nuovo altare alla Madonna (1909): un ricordo dell'eremita Agnese Massarella.

39 II grande pellegrinaggio del 1910 (dal volume: A. lauri, Settefrati ed il Santuario di Canneto..., Sora 1910).

   

 

 

 

 

1. Premessa                        Torna all'Indice

 

Quando nel luglio 1978, a due mesi circa dall’inizio dei lavori di ristrutturazione generale del Santuario, venne a Canneto la Commissione Centrale dell’Arte Sacra con sede a Roma per un sopralluogo al vecchio complesso al fine di poterne autorizzare la demolizione, in sintonia con gli altri enti preposti alla tutela dell’ambiente, un alto prelato all’uscire di chiesa mi disse: "Non c’è nulla. Potevate eliminare anche la facciata". Voleva intendere ovviamente che nel tempio non "c’era nulla di artistico" che andava conservato.

Invece, in una domenica di ottobre dello stesso anno, quando il vecchio Santuario era già in gran parte abbattuto, una pia devota di Civitella Alfedena, pur plaudendo al grande progetto che si andava realizzando, con le lacrime agli occhi disse queste parole: "Eppure quelle vecchie mura ci erano tanto care!".

Due considerazioni antitetiche, ma egualmente vere: l’una proveniva dalla mente dell’esperto, che guardava esclusivamente allo stile, all’estetica e alla statica dell’edificio sacro, estraneo del tutto alle esperienze spirituali qui avvenute. L’altra sgorgava dal cuore, cioè dall’insieme dei ricordi e dei sentimenti di un’anima, che in quella medesima chiesa aveva goduto momenti particolari di comunione con Dio e con la SS.ma Vergine.

"Non c’era nulla di artistico". Infatti la chiesa di Canneto era tutto un mosaico di costruzioni, aggiunte l’una dopo l’altra, l’una accanto all’altra, secondo le necessità dei tempi, senza un progetto unitario ed organico, con alcuni spazi essenziali interposti non utilizzabili o riconducibili a una funzione liturgica precisa e per giunta con mura perimetrali fatiscenti e senza fondazioni, come è risultato proprio dalla demolizione.

Non c’erano poi all’interno elementi architettonici d rilievo, come archi, capitelli, fregi, stucchi e tanto meno affreschi o pitture da salvare.La medesima facciata n stile rinascimentale, che poi è rimasta, è opera del secondo decennio del secolo appena trascorso (1923-27). L’unico nucleo antico è il nartece o pronao, che è stato conservato. Difatti le sue volte a crociera, in pietra, sono del ‘500.

Ma il vecchio Santuario è stato abbattuto, non perché "non c’era nulla di artistico", ma per la sua stessa sopravvivenza, in quanto con il passare del tempo si rivelava a prova dei fatti sempre più inadeguato alle esigenze di ricettività e di accoglienza, anche le più elementari, di un pellegrinaggio in continua crescita, specie dopo l’arrivo della strada carrozzabile a Canneto (1960) e si sentiva la necessità ognor più incalzante di sostituirlo con un complesso (chiesa e forestia) più grande, più organico, più funzionale e statisticamente più sicuro.

Se la chiesa con i suoi annessi fosse rimasta sostanzialmente com’era, riuscendo a conciliare strutture nuove e vecchie (ma le varie soluzioni tendenti a tale scopo, lungamente vagliate e sofferte, non furono possibili), a parte che essa avrebbe dovuto fare i conti con il terribile sisma del maggio ’84, che ha avuto il suo epicentro proprio nel massiccio del Meta, le sarebbe stato precluso per sempre ogni sviluppo futuro. Ma su questo aspetto tornerò nel corso della trattazione.

"Eppure quelle vecchie mura ci erano tanto care!". Pure questo era altrettanto vero, non solo per la pia devota di Civitella Alfedena, ma anche per molti altri pellegrini, affezionati al Santuario fin dall’infanzia. Era la voce del cuore e della memoria, delle gioie spirituali vissute nella vecchia chiesa e della riconoscenza alla Vergine SS.ma per tante grazie qui ricevute per sua materna intercessione e perciò ogni angolo, anzi ogni pietra, dell’antica costruzione aveva un suo linguaggio, un suo fascino.

Ma proprio in ossequio e rispetto a questi nobili e delicati sentimenti del popolo, a questi forti richiami e legami con il passato, che si è conservata la facciata con l’antico nartece sottostante.

E per ricordare indelebilmente non solo "quelle vecchie mura tanto care", ma anche le persone che le hanno costruite, ampliate e conservate durante i secoli con amore e dedizione, e i sacrifici che sono stati compiuti da tutti: rettori, amministratori, eremite, fedeli e per gran parte del secolo scorso, pur se in modo graduale e sempre più impegnativo, anche dai vescovi diocesani, è nata in me l’idea di questo "excursus" storico incentrato unicamente sulle vicende della chiesa di Canneto, come edificio sacro.

 

2. La chiesa nel 1475. Il primo restauro storico                       Torna all'Indice

Un primo accenno alla chiesa di S. Maria di Canneto, come edificio, si rinviene nella lettera collettiva "Deum placare" del 25 novembre 1475, il cui contenuto è ben noto. Con essa i due cardinali di S.R.C., Bartolomeo Roverella e Giuliano della Rovere, il futuro papa Giulio II, su richiesta dell’abate commendatario di Canneto, Francesco de Vulpinis, concedevano alla "Chiesa del dirupo monastero di S. Maria di Canneto dell’ordine benedettino nel territorio del castello (o borgo fortificato) di Settefrati, diocesi di Sora" cento giorni d’indulgenza da lucrarsi sul luogo in determinati giorni, tra i quali il 22 agosto, affinché i fedeli salissero più frequentemente lassù per godere di questo beneficio spirituale ed offrire nel contempo il loro obolo per il restauro e la manutenzione della medesima chiesa.

Notiamo alcune espressioni letterarie che figurano nel documento e che fanno al caso nostro:

- la prima espressione è questa: si parla di "Chiesa del dirupo monastero della Beata Maria di Canneto", da cui deduciamo che il tempio mariano e il monastero benedettino dovevano essere due costruzioni distinte ed anche distaccate. L’uno era funzionale, ma aveva bisogno di riparazioni, perciò l’abate de Vulpinis si era rivolto con la sua petizione alla Santa Sede per un contributo, mentre l’altro, abbandonato da oltre un secolo dalla comunità religiosa, che era scesa ad abitare nei dintorni di Settefrati, era ormai in rovina.

Questa seconda costruzione si trovava nelle vicinanze della chiesa, al lato sud della Valle, a quota leggermente più bassa e al riparo dei venti e delle tormente di neve. Sulle sue rovine nel 1778 sorse la ben nota ferriera regia per lo sfruttamento industriale della limonite di Canneto. Il minerale era più esattamente il sesquiossido di ferro idrato, uno dei minerali del ferro, ancora oggi rilevabile nella zona.

- La seconda espressione letteraria riguarda la sacra costruzione, vera e propria, e dice: "affinché la chiesa sia debitamente riparata e mantenuta nelle sue strutture ed edifici". "Strutture ed edifici": due termini che si addicono più alle nuove opere edili di oggi che a quelle di cinque secoli fa.

Senza forzare il senso delle due parole, sono d’avviso che il primo termine, "le strutture", stia ad indicare le mura perimetrali, il tetto e i pilastri interni, mentre il secondo termine, "gli edifici", voglia significare le aule o navate.

Doveva trattarsi di una chiesa a tre navate, di cui quella centrale era poco più alta delle due laterali, con un unico tetto a due spioventi, coperti a canali e con tre ingressi sul prospetto.

 

3. Nei primi decenni del sec. XVI: incrementi edilizi                       Torna all'Indice

 

Gli anni indicati sono quelli della prepositura di d. Federico De Manlion, prete spagnolo, nella chiesa di S. Maria di Canneto. Ma nella storia del santuario lo troviamo più esattamente negli anni 1530-1533, alla fine del suo abbaziato, quando vecchio e malato nella sua abitazione di Settefrati con alcuni raggiri fu da incaricati di Montecassino costretto a rinunciare al suo beneficio.

Da un manoscritto non firmato né datato dell’archivio cassinese, ma da porsi verso la fine del sec. XVI, scritto a mo’ di lettera informativa, veniamo a sapere che il buon prete, vistosi ingannato e defraudato, fece ricorso alla S. Rota, che, dopo aver accertato i fatti, lo reintegrò nei suoi diritti e nelle sue funzioni.

Il documento ci dice tra l’altro che il De Manlion aveva posseduto "per molti et molti anni" pacificamente quel beneficio e che aveva "riparato la chiesa et l’habitatione et fabricatovi di molte altre stanze et accomodato et acconcio ogni cosa, acciò che li Popoli non perdessero la divotione che havevano a quella chiesa et che non si perdessero molte reliquie che vi erano".

Notizie veramente interessanti per questa nostra ricerca ed, attesa l’epoca a cui esse si riferiscono, gli inizi del ’500, assai rare a reperirsi nei maggiori archivi, come quello diocesano o l’Archivio Segreto Vaticano.

Rileviamo innanzitutto per la prima volta l’esistenza a Canneto di un’abitazione per il preposito, ovviamente annessa alla chiesa, in un posto imprecisabile, anche se preferiamo pensarla al lato sud, in fondo verso il fiume, nel sito dove sorse in seguito la Casa dell’eremita, essendo un posto più soleggiato e al riparo dei venti gelidi del nord.

In quanto alle "molte altre stanze", che il bravo abate-preposito vi fabbricò, oltre a quelle della detta abitazione che preesistevano, esse erano indubbiamente quelle, che si allineavano, sia sul portico frontale della chiesa, sia sulle due navette laterali, a ridosso del muro perimetrale della navata centrale.

Il buon d. Federico sul davanti della chiesa fece costruire un portico con tre archi e con volte a crociera in pietra, sul quale sistemò le prime tre stanze con regolari finestre sul prospetto; poi, sempre restando nel circuito delle mura esterne del sacro edificio preesistente, abbassò ambedue le volte laterali per ricavarvi sopra quattro stanzette per parte con piccole finestre sui due lati opposti della chiesa, a nord e a sud. Quelle del lato sud sono certe, come si può rilevare dalla prima foto storica del santuario, che ritrae appunto questa parte e la facciata con il piccolo portico sottostante.

All’interno, nel piano della chiesa, per dare luce ed aria alle due navette laterali, egli aprì tre finestrole per parte, come ci mostra la medesima foto.

Un indizio sicuro di questo adattamento fatto da d. Federico era l’esistenza di una finestra a lunetta rimurata, che dava direttamente all’interno della chiesa e che si trovava nella cosiddetta "stanza delle suore", l’ultima delle antiche stanzette a destra, rimaste fino ai nostri giorni.

Essa senza alcun dubbio provava due cose:

  1. che la precedente navata destra e di conseguenza, per ragioni di simmetria e per esigenze architettoniche, anche quella di sinistra, arrivava a tale altezza con una finestra a lunetta sommitale per parte;

  2. che questa era la parete di fondo, che chiudeva ad est la primitiva chiesa.

Anche la navata di centro della detta chiesa, per ragioni di luce e di aerazione, aveva sulla parete di fondo in alto una finestra lunata. Alle stanzette del piano superiore si accedeva mediante scalinata esterna ad una o due rampe, situata nella parte nord del santuario. All’interno dell’antico tempio non c’era spazio per una struttura del genere.

Una delle tre camere del prospetto e più esattamente quella posta all’angolo sud-ovest, come indicava il comignolo soprastante che qui svettava, era adibita a cucina. Anche questo un particolare rivelatoci dalla medesima foto.

Con tale serie di stanze e stanzette, che dovevano essere in tutto n° 11, sistemate al piano superiore del santuario, l’intraprendente abate-preposito dotò la chiesa di Canneto dei primi servizi, indispensabili soprattutto nel giorno della festa che già allora si celebrava il 22 agosto con relativa vigilia, consistenti in piccoli dormitori, dispensa, guardaroba e cucina.

Era il minimo richiesto per alloggiare convenientemente un buon numero di sacerdoti confessori e di laici addetti ai vari compiti: trasporto di viveri con quadrupedi, preparazione dei pasti, raccolte di offerte e pulizie.

Da allora in poi i detti servizi restarono sempre in quel piano a ridosso della chiesa fino alla nostra epoca, condizionando purtroppo ogni ulteriore sviluppo dell’edificio sacro, specie dalla parte delle tre navate, che rimasero per secoli ingabbiate tra quei servizi.

Invece il nuovo portico o nartece antistante veniva a coprire i tre ingressi del tempio e nel contempo offriva vantaggiosamente ai pellegrini un piccolo riparo per la notte o durante le ore cocenti della giornata o in caso di intemperie, che erano e sono ancora frequenti nel giorno della festa. In verità, ben poca cosa rispetto alle moltitudini di fedeli che affluivano a Canneto.

Era comunque il primo tentativo di dare un ricovero almeno a una piccola parte di pellegrini, quale segno di ospitalità e di fraternità. Un problema, che ha sempre assillato gli amministratori del santuario e che, dopo tanti secoli, nonostante le ultime grandi costruzioni degli anni ’80 del secolo appena trascorso, è ancora lungi dall’essere risolto.

 

4. Il primo prolungamento della chiesa. Reliquie e devozione popolare, nella medesima epoca                       Torna all'Indice

 

Anche l’aula trasversale, il transetto, che ingrandiva e prolungava il primitivo tempio della Madonna, dovette essere opera dell’infaticabile d. Federico De Manlion, sia perché nel 1693, come constateremo, essa già esisteva, sia perché nelle fonti archivistiche non si rinviene alcun cenno a questo importante incremento edilizio dell’antico santuario.

Questa nuova costruzione, che si aggiungeva alle tre precedenti navate, inglobandole in un’unica struttura, e che dava a tutto il complesso sacro la forma di croce latina, era più ampia e più alta della parte più antica antistante e conferiva indubbiamente a tutta la chiesa più spazio, più luce ed agibilità.

L’unico lato in cui era possibile realizzare un’opera del genere era quello orientale, verso il fiume. A tale scopo fu abbattuta la parete di fondo del primitivo tempio e venne costruita la nuova aula dall’aspetto molto semplice, senza ornamenti e decorazioni.

Sul nuovo muro di fondo, in corrispondenza con la navata centrale, fu eretta una nuova cappella della Madonna con l’altare, il trono e una finestra a lunetta sovrastante. Nelle due pareti opposte, situate a nord e a sud, in alto, vennero aperti due finestroni per parte, che davano luce ed aria, e in basso nel piano della chiesa, furono situate due porte d’uscita, l’una a nord e l’altra a sud.

Ai lati della cappella della Madonna, che al tempo della nuova costruzione rimasero vuoti, solo in epoca posteriore furono posti altri due altari con altrettante finestre a lunetta sovrastanti, alquanto più basse rispetto a quella centrale, come ci dimostra chiaramente un’altra antica foto del santuario, che ritrae questa parte retrostante della chiesa.

La somma necessaria per attuare tali opere e che, attesa l’entità dei lavori eseguiti, dovette essere anche ingente, proveniva certamente dalle offerte che i devoti di anno in anno facevano al santuario in occasione della loro visita alla Madonna o accogliendo nei loro paesi i questuanti o le questuanti (le eremite) di Canneto, che vi si recavano per le raccolte del grano, dell’olio o di altre derrate, come sarebbe avvenuto tante volte nei secoli seguenti. Offerte quindi in denaro, in oro e in natura.

Ma, anima e cuore di tutta quell’opera, che in considerazione delle difficoltà del luogo e dei tempi può dirsi veramente grande, fu l’abate dell’epoca d. Federico De Manlion, il quale, grazie anche al suo lungo abbaziato di Canneto, durato oltre trent’anni se non quaranta, poté attuare, ovviamente a più riprese e secondo le disponibilità finanziarie del santuario, il suo coraggioso progetto di dotare la chiesa della Vergine di servizi essenziali e di prolungarne il tempio con un nuovo corpo di fabbrica.

Lo scopo che egli si prefiggeva con tali realizzazioni è esplicitamente indicato nel citato anonimo manoscritto di Montecassino: affinché i popoli conservassero la devozione verso la Madre di Dio e non andassero disperse le numerose reliquie, che qui si custodivano.

Quindi due motivi di grande richiamo per le folle di Canneto: la chiesa della Madonna Bruna, che diveniva sempre più accogliente, grazie soprattutto alle oblazioni dei fedeli, e il cospicuo patrimonio di reliquie qui conservato, garanzia di protezione dei rispettivi santi dal cielo.

Concludendo. Questo complesso sacro di Canneto, rinnovato ed ingrandito nei primi decenni del sec. XVI, qui sufficientemente descritto, si conserverà nelle sue strutture generali pressoché invariato, salvo lavori di riparazione e di consolidamento dovuti ad intemperie e terremoti, per altri tre secoli fino ai nuovi restauri ed ampliamenti del 1853-57.

5. Unione del beneficio di S. Maria di Canneto e della sua Chiesa al Seminario di Sora (1569)                       Torna all'Indice

Il 15 luglio 1563 con il decreto "Cun adolescentum" il Concilio di Trento aveva stabilito che le singole Chiese Cattedrali, metropolitane ed altre Chiese maggiori, a seconda dei mezzi e dell’ampiezza della diocesi, educassero religiosamente ed istruissero nelle discipline ecclesuastiche un certo numero di fanciulli da tenersi in un "collegio", sito presso le stesse chiese o in un altro luogo conveniente.

Tali fanciulli dovevano avere almeno l’età di 12 anni, legittimità di natali, saper sufficientemente leggere e scrivere e mostrare indizi di vocazione ecclesiastica, a cominciare da alcune qualità umane insostituibili, come la docilità di carattere e la buona volontà.

Il principio-base, che ispirò ai Padri Tridentini la fondazione di detti "collegi" o seminari diocesani, è enunciato fin dall’inizio del citato decreto: "L’età degli adolescenti, se non viene rettamente educata, è prona a seguire i piaceri del mondo, e se non s’informa fin dai più teneri anni alla pietà e alla religione, prima che i vizi si impadroniscano di tutto l’uomo, non potrà giammai…, senza quasi un singolare aiuto dell’Onnipotente, perseverare nella disciplina ecclesiastica".

Parole sagge e lungimiranti, che genitori, maestri e sacerdoti dovrebbero sempre tener presenti per non rendere vana la loro azione educativa e formativa. L’allora vescovo sorano Mons. Gigli, che aveva partecipato alla terza ed ultima fase della grande assise, al suo ritorno a Sora, pensò di dare subito un collegio-seminario alla diocesi. Il 7 giugno 1565, ad appena un anno e mezzo dalla conclusione del Concilio, il pio istituto risultava già fondato. Il vescovo stesso metteva a disposizione dei primi alunni, come sede provvisoria, un’ala del palazzo vescovile.

Ma, poiché il collegio-seminario, secondo il Tridentino, doveva essere aperto soprattutto ai "figli dei poveri, senza però escludere quelli dei ricchi a condizione tuttavia che siano mantenuti a loro spese…", il problema più urgente che Mons. Gigli si poneva era quello di reperire i mezzi finanziari indispensabili per il sostentamento degli alunni, per il salario dei professori e degli inservienti e, in prospettiva, per costruire una nuova residenza più idonea e rispondente alle esigenze degli adolescenti.

Per far fronte alle suddette necessità il sacrosanto sinodo aveva concesso ai vescovi ampie facoltà su tutti i redditi e i proventi degli enti, delle istituzioni anche regolari ed esenti e dei benefici ecclesiastici. Nell’ambito della diocesi di Sora il vescovo Gigli, usufruendo di tali facoltà, unì al nuovo collegio-seminario i seguenti benefici vacanti in questo ordine di tempo e di luoghi:

Il 7 giugno 1565 furono annessi i benefici di S. Lucia e di S. Maria in territorio di Schiavi (Fontechiari) con la chiesa di S. Bartolomeo, posta nel palazzo del marchese di detto paese. Il 28 agosto e il 22 novembre dello stesso anno vennero uniti i benefici di S. Cristoforo e di S. Matteo in S. Donato V.C., quelli di S. Angelo in Campoli, di S. Maria in Vicalvi e di S. Onofrio in Alvito.

L’8 giugno 1569 Mons. Gigli con strumento pubblico, rogato dal notaio Giovanni Battista de Baiozzi di Frosinone, univa al pio istituto anche il grande beneficio della chiesa di S. Maria di Canneto in Settefrati, che in tal modo passava dalle dipendenze dell’abbazia di Montecassino alla giurisdizione dei vescovi di Sora.

Tale evento costituiva per l’antico tempio mariano una vera svolta storica nelle sue vicende, già più volte secolari, in quanto all’alpestre chiesa di Maria, affidata da allora in poi al clero diocesano e locale, cioè di Settefrati, più direttamente interessato e partecipe degli avvenimenti di Canneto, si aprivano maggiori possibilità di sviluppo, sia sul piano delle strutture murarie, sia su quello della vita religiosa.

Così difatti si è verificato nei secoli successivi fino ai nostri giorni. L’attuale ristrutturazione generale del santuario e il grandioso pellegrinaggio di oggi ne sono la prova più evidente e significativa.

Ma quello dell’8 giugno 1569, più che un passaggio dalla giurisdizione monastica alla giurisdizione vescovile, era un ritorno alla diocesi di Sora, dopo quasi tre secoli che l’abbazia di Canneto era stata una delle prepositure cominesi di Montecassino, cioè da quel fatidico 13 dicembre 1288, quando il collegio di chierici, residente e in servizio presso detta chiesa, fino allora dipendente direttamente dai vescovi sorani, ottenne dal papa Niccolò IV la concessione della regola benedettina da osservarsi in quella comunità, trasformandosi in tal modo in una obbedienza o cella dell’abbazia cassinese.

Da quell’epoca la chiesa di S. Maria di Canneto rimase affidata al seminario diocesano di Sora con l’obbligo di manutenerla e di provvederla della suppellettile necessaria, mentre il rettore del pio istituto divenne nel contempo anche rettore del santuario. Tale dipendenza durò per ben quattro secoli fino al 1972, quando il vescovo di Sora, Mons. Minchiatti, prese la decisione di dividere i due incarichi, consentendo alle due pie istituzioni, il seminario e il santuario, di seguire ciascuna la propria strada.

 

6. La Valle di Canneto e la sua Chiesa nel 1574                       Torna all'Indice

 

Il Prudenzio, storico di Alvito, per quanto fino ad oggi risulta, è il primo scrittore di Val Comino a parlare della Valle di Canneto e della chiesa dedicata alla Vergine, ivi posta. Egli, descrivendo il paese di Settefrati nel cui territorio da sempre si trova il santuario, così si esprime:

"Le montagne sono finissime con acqua in grande abondantia et in esse nasce la Melfe, che all’uscir sotto un masso porta certa arena aurata, mostrando che l’acqua passi per vena di oro. Vi è una chiesa che se le dice S. Maria di Candido, ben fabricata et con buone stantie: è luoco molto atto alla solitudine per un eremita.

Se visita spesso, et devotamente da convicini, et vi sono assai sante reliquie, con un pezzetto del legno della santissima Croce, dove il nostro Redentore fu chiovato et morìo per noi".

Nella breve, ma succosa descrizione dello storico alvitano risaltano quelli che erano gli aspetti più tipici e propri della Valle di Canneto: le sorgenti del Melfa, la chiesa, il pellegrinaggio e le reliquie.

Le sorgenti, ovvero più comunemente Capodacqua. Questo angolo suggestivo, posto al lato nord-est del pianoro, era caratterizzato da due fenomeni naturali più unici che rari: lo sgorgo di un fiume ai piedi di un enorme masso e il luccichío, nelle acque limpide e gelide, di minute scagliette d’oro, chiamate in diverso modo dagli scrittori posteriori, che i pellegrini di Canneto nei momenti di relax si dilettavano ad individuare e raccogliere, cercando di conservarle nei fazzoletti. Quei devoti le chiamavano amabilmente: "Le stellucce della Madonna".

Il luogo, sacro fin dalla più remota antichità (sec. IV a.C.) per il culto ivi reso alla deità fluviale, identificata con Mefite, dea della salubrità dell’aria, costituiva inoltre un’oasi di fresco e di ristoro, specie nelle ore meridiane, quando il solleone dardeggia a picco, avvolgendo il pianoro in una immensa irrespirabile vampa.

Questo lembo paradisiaco della valle con tutte le sue bellezze è stato distrutto nel 1958 con le opere di captazione delle acque sorgive per l’approvvigionamento idrico di molti paesi e reso inaccessibile mediante recinzione. Da qualche anno -dulcis in fundo- è vietato sostare anche al di là del canale, dove scorre l’ultimo rigagnolo superstite di "un grande fiume" ("mégas potamòs"), come lo chiamava Strabone (sec. I a.C.).

La chiesa. Il Prudenzio la chiama in dialetto alvitano: "S. Maria di Candido". Essa risultava "ben fabricata et con buone stantie". In questa breve indicazione vediamo tutta l’opera realizzata alcuni decenni prima dall’infaticabile abate di Canneto d. Federico de Manlion (…1530-1533), già ampiamente illustrata nella precedente puntata.

In sintesi, egli prolungò la chiesa, aggiungendo alle tre navate preesistenti l’aula del transetto, costruì al primo piano varie stanze e davanti ai tre ingressi innalzò un portico o nartece con tre archi frontali, con volte a crociera in pietra e tre camere soprastanti.

Questo nucleo abitativo del ’500 è rimasto pressoché invariato anche nei successivi restauri ed ampliamenti della chiesa ed è chiaramente individuabile nella foto più antica del santuario, risalente a metà del sec. XIX, che ormai conosciamo.

Il nartece con i tre archi, con le volte a crociera in pietra e di conseguenza le tre camere originarie soprastanti sono stati intenzionalmente lasciati anche nella ristrutturazione generale del 1978-1983 del santuario, inglobandoli nelle nuove architetture, allo scopo di conservare una vera "reliquia" dell’antico tempio mariano.

In tal modo una parte dell’opera di d. Federico de Manlion è sopravvissuta alle impellenti esigenze delle nuove costruzioni ed è destinata con le medesime a perpetuarsi felicemente nel tempo. L’umile abate di Canneto non pensava certamente di assurgere a tanta gloria, che oggi la memoria storica giustamente gli rende.

Il pellegrinaggio. La Valle di Canneto conosce il fenomeno fin da epoca precristiana in ragione dell’esistenza presso le sorgenti del Melfa di un santuario italico-romano risalente ai secc. IV-II a.C., situato a circa 7 metri di profondità ed individuato, nelle trivellazioni del suolo, durante le opere di captazione delle acque sorgive, già accennate.

Dalla monetazione ivi rinvenuta con altro materiale votivo, databile appunto nei suddetti secoli, e dai relativi coni si deduce che a Canneto convenivano varie popolazioni italiche e latine per compiere alle fonti del fiume riti propiziatori.

Il pellegrinaggio mariano inizia storicamente nel dicembre 1288, quando nella chiesa di S. Maria di Canneto troviamo per la prima volta un collegio di chierici, addetto al servizio del tempio e all’assistenza religiosa dei devoti, che qui affluivano.

Col tempo esso crebbe nel numero dei fedeli e nei giorni delle visite, soprattutto dopo il 25 novembre 1475, quando la Santa Sede concesse l’indulgenza di 100 giorni da potersi lucrare in cinque ricorrenze liturgiche: l’Assunzione, la sua Ottava, la Natività di Maria, la Natività di S. Giovanni Battista e la Dedicazione della chiesa.

All’epoca dello scrittore alvitano (1574) i devoti si portavano a Canneto con frequenza ("spesso"), specialmente in quei cinque giorni dell’indulgenza; in spirito di penitenza e di preghiera ("devotamente"), provenienti dai paesi vicini ("da convicini").

Le reliquie. Esistevano a Canneto fin dai tempi di d. Federico de Manlion ed erano molte. Le toccanti parole con cui il Prudenzio parla di queste reliquie in dotazione della chiesa di Canneto e del pezzetto del legno della croce, concludendo la sua breve relazione sulla valle, sono di quelle che lasciano il segno in chi le legge attentamente: "et vi sono assai sante reliquie, con un pezzetto del legno della santissima Croce, dove il nostro Redentore fu chiovato et morìo per noi".

Questa non è solo l’informazione di un vero storico, ma anche e soprattutto il messaggio di un vero credente.

 

7. La chiesa di S. Maria di Canneto nel 1595                       Torna all'Indice

 

Nella "Relazione familiare" sullo Stato di Alvito, fatta nel 1595 al Cardinale Tolomeo Gallio di Como, che era in procinto di prendere possesso del feudo cominese, l’anonimo estensore del documento fa un accenno anche alla chiesa della Madonna di Canneto.

Difatti, parlando del fiume Melfa, dice così: «Questo fiume nasce sopra Picinisco cinque miglia in luogo alto e montuoso, dove è una Chiesa chiamata Santa Maria di Canneto e nella scaturigine dell’acqua si vedono scaturir mescolate con l’acqua alcune scintille d’oro, che attaccate alla mano o a qualche panno durano così per un poco, ma poi per la loro sottigliezza svaniscono».

Il relatore, continuando a descrivere il corso del fiume, rileva ancora che le sue acque, prima scendono tumultuose e rumoreggianti per rupi e dirupi verso Picinisco; poi, raggiunta la pianura sottostante al paese, mettono in azione vari mulini di grano e gualchiere di panni, situati lungo le rive. Acque fresche, limpide e, nelle quote più basse, pullulanti di squisite trote.

La chiesa della Madonna, il Melfa che scorre ai suoi piedi e le sorgenti del fiume, che rampollano da sotto un grosso masso, scintillanti di scagliette d’oro, erano anche in quell’epoca le suggestive visioni della Valle di Canneto.

 

8. Le reliquie di S. Maria di Canneto traslocate nella chiesa di S. Stefano di Settefrati (1618 circa)                       Torna all'Indice

 

Erano molte. Ne abbiamo avuto un primo accenno durante la prepositura di d. Federico de Manlion (...l530-l534); poi un secondo accenno più preciso nel 1574 dal Prudentio di Alvito, il quale ci fa sapere che tra quelle molte reliquie si trovava anche un pezzetto del legno della croce.

Il vescovo di Sora Giovannelli (1609-1632), convinto e fervente cultore lui stesso di reliquie e di corpi di santi diocesani, come di quello di S. Giuliano martire, che egli rinvenne nell’omonima chiesa di Sora, nella «Raccolta dei decreti di S. Visita» annota di sua mano (se ne riconosce bene la calligrafia) che ai suoi tempi tutte le reliquie di Canneto, chiesa unita al seminario di Sora, si conservavano sotto l’altare maggiore della chiesa di S. Stefano di Settefrati e nelle prime pagine del suo "Libro verde" ce ne trasmette in grande evidenza un elenco dettagliato e preciso.

Erano esattamente n. 32 reliquie. Ne indico qui alcune. L’elenco inizia con le reliquie degli apostoli: S. Andrea, S. Bartolomeo, S. Simone, S. Luca, poi S. Marco Evangelista, S. Biagio Martire ed altri santi e si chiude con S. Apollonia Vergine e Martire.

Le ragioni per cui esse furono traslate a Settefrati e perché erano così tante, potevano essere almeno due: per una maggiore sicurezza delle medesime e per una funzione protettiva del paese.

In quanto alla prima ragione, a Settefrati la cospicua raccolta di reliquie di Canneto era più al sicuro che non nella chiesa alpestre della Madonna, così solitaria e lontana dai centri abitati, e perciò più esposta a furti anche di reliquie, così frequenti in quei tempi.

In quanto alla seconda ragione, fin da epoca medioevale era convinzione comune che le reliquie fossero pegni tangibili di protezione e di difesa e di conseguenza più se ne possedevano e più santi intercessori si avevano in cielo ad implorare presso il trono dell’Altissimo grazie e favori, specie contro quelli che erano i mortali nemici dei nostri paesi, sempre in agguato: le torme di avventurieri e di predoni, che per secoli passarono e ripassarono, saccheggiando e distruggendo, per queste contrade; le bande del brigantaggio locale, che infestarono senza tregua queste zone fino al 1870; nonché le calamità naturali (carestie, epidemie e terremoti) che funestarono periodicamente le medesime valli.

In situazioni e frangenti del genere le popolazioni locali, inermi ed abbandonate al loro destino dai governi centrali, sovente deboli o inesistenti, riponevano la loro salvezza unicamente nei santi protettori.

 

9. Il patrimonio fondiario di S. Maria di Canneto nell’agosto 1619                        Torna all'Indice

 

Come si ricorderà, era aggregato con altri benefici parrocchiali della diocesi al seminario di Sora fin dal giugno 1569 per il sostentamento del pio istituto. Dall’inventario dei beni immobili di tale chiesa, compilato nell’agosto 1619 da d. Giulio Annichino, arciprete di Settefrati, e trascritto nel "Libro verde" dell’archivio diocesano, veniamo a conoscere per la prima volta nella storia del santuario i paesi e le relative contrade (microtoponimi), dove detti beni erano localizzati.

Ben 64 appezzamenti di terra si trovavano in territorio di Settefrati; due orti e un casalino a Settefrati centro; una terra a S. Donato V.C. (Castagneto) e un’altra a Gallinaro (Rio); alcune piante d’olivo erano poste a Picinisco in due siti diversi ed altre a Posta (Posta Fibreno) in tre siti diversi.

Dal che si deduce che la quasi totalità delle proprietà della chiesa di Canneto erano localizzate nel territorio di Settefrati e perciò esse provenivano dal gran cuore di quegli abitanti, che fin da remote età, come si evince qui chiaramente, erano profondamente devoti e munifici verso il santuario, che la Provvidenza aveva posto dentro i confini del loro paese.

Difatti il documento dell’agosto 1619 è la testimonianza più antica, più splendida e convincente del loro indefettibile amore ed attaccamento a quell’augusto tempio della Vergine.

 

10. Un pellegrino scrittore a Canneto nell’anno 1633. Il primo diario di una visita al santuario                       Torna all'Indice

 

Paolo Mattia Castrucci (1575-1633), storico di Alvito, come il suo concittadino Giulio Prudentio (1574) di poco anteriore, al pari di ogni buon Alvitano, da sempre devoto della Madonna Bruna, un giorno volle farsi anche lui pellegrino di Canneto, salendo dalla parte di Settefrati attraverso quel medesimo sentiero, che avevano già percorso da secoli generazioni di devoti, per visitare la chiesa della Vergine e godersi le meraviglie di quella valle incantata.

Egli nella sua unica pubblicazione: «Descrittione del Ducato d’Alvito nel Regno di Napoli» (1633) ci ha lasciato il ricordo incancellabile di quel suo viaggio a piedi, che egli, parlando di Settefrati, descrive minuziosamente in alcune pagine, ridondanti di particolari paesaggistici, di immagini e di similitudini, non sempre appropriate, volte a meravigliare il lettore, secondo le mode di uno scrittore del primo seicento letterario italiano.

Ne riassumo qui il racconto, cogliendone i tratti essenziali e trascrivendolo in linguaggio corrente.

Il vero pellegrinaggio iniziava dalla Madonna delle Grazie di Settefrati, seguendo un sentiero, che andava verso il levante estivo e che dopo un certo tratto pianeggiante iniziava a salire verso le alte ed erte montagne dell’Appennino. Il viottolo si snodava in una serie di serpentine, che erano state scavate e ben sistemate dai cittadini di Settefrati e che rendevano meno faticosa l’ascesa.

C’erano dei tratti in cui la via passava tra rupi a strapiombo, sotto l’ombra di alberi d’alto fusto, che riparavano il pellegrino dai raggi cocenti del sole estivo. A confortarlo lungo la mulattiera e a rendere meno noioso il suo viaggio c’era il canto di svariati uccelli, che nidificavano a quelle altezze.

Dopo due miglia di cammino si arrivava finalmente in una "valletta" dove su un poggio era posta la "devota chiesa della Madonna di Canneto". Nell’entrarvi si sentiva un "sì suave freddo e pio orrore" che nel cuore del pellegrino destava un sacro rispetto, misto a timore e pietà per quel luogo così sacro e venerando.

«Tra queste selve amene, sacre solitudini, ed orrori venerandi si trovava la piccola chiesa della Beata Vergine di Canneto, con certe poche stanziole, fabbricate da un romano, fuggendo la Corte di Roma con il desiderio di essere riportato e sepolto nella sua amata chiesetta tra i monti e quando ciò avvenne, vi successe un so che miracolo».

Alla sua morte il pio prete lasciò alla chiesetta un legato con un reddito annuo di 200 scudi, ora unito al seminario di Sora. A Canneto restava solo la sua tomba senza alcuna iscrizione, alla quale faceva da cornice la bellezza del luogo e quella sacra solitudine.

Non lontano dal tempietto si trovavano le sorgenti del Melfa ("la bella Melfi"), che formava un ameno laghetto con all’intorno un "boschetto di drittissimi faggi" e brevi lembi di terra coperti di erbette, di fiori e fragole. Un luogo fresco ed ombroso al riparo del sole cocente dei meriggi estivi, dove lo stanco pellegrino poteva tranquillamente sostare, rifocillarsi e riposare.

Le sue acque erano quanto di più meraviglioso e dilettevole si potesse ammirare. Erano limpidissime così da lasciar vedere il fondo arenoso, dove qua e là rilucevano "certe scintille d’oro"; freddissime al punto da non potervi tenere la mano dentro se non per pochi istanti e perciò non c’erano trote, che invece si rinvenivano a quote più basse del fiume...

Queste acque, dopo aver lasciato il laghetto, prendevano il largo, lambendo le due rive e poi, giunte sotto il poggio dove era situata la chiesetta della Madonna, scomparivano rumoreggiando nelle valli sottostanti.

Nel racconto del Castrucci di Alvito troviamo il primo diario del pellegrino a Canneto, che ci fa conoscere i momenti più salienti della sua giornata passata su quei luoghi alpestri: la lunga e faticosa marcia tra le balze e le fitte faggete, l’arrivo alla meta sospirata, la visita alla Madonna e poi il ristoro e il riposo a Capodacqua, dilettandosi ad intervalli a ricercare le "scintille d’oro" e nel pomeriggio, dopo un ultimo saluto alla Vergine, riprendere la via del ritorno verso casa.

Immagini, gesti ed esperienze di sempre. Allora, come ai nostri giorni. All’epoca dello storico alvitano era ancora vivo il ricordo dell’abate d. Federico de Manlion, a un secolo esatto dalla sua morte. Era lui il preposito di cui lo scrittore parla senza dirci il nome, perché non era scolpito nemmeno sulla sua tomba, che si trovava nella chiesetta di Canneto.

Era lui che aveva costruito quelle "stanziole" e che aveva espresso il desiderio di riposare per sempre accanto a quella Vergine Bruna, che tanto aveva amata e fatto amare. Era figlio della cattolica Spagna e non di origine romana.

 

11. La chiesa di S. Maria di Canneto nel 1639-1642.                       Torna all'Indice

 

Dagli Atti di sacra visita di questi anni del vescovo di Sora Mons. Felice Tamburrelli emergono i primi particolari dell’interno della chiesa di Canneto, e le prime notizie storiche delle feste tradizionali della Madonna ed infine dell’esistenza di una chiesetta dedicata alla SS. Annunziata, situata sulla spianata del tempio.

La visita al santuario, per mandato speciale del vescovo, fu effettuata da d. Michele Cardelli, arciprete di Settefrati. Nella sua relazione al presule il reverendo convisitatore faceva le seguenti annotazioni:

All’interno della chiesa si trovava l’altare maggiore, che però mancava dei requisiti necessari per celebrare la Messa e, poiché sulle pareti si rilevavano infiltrazioni di acqua, bisognava procedere quanto prima alle opportune riparazioni del tetto.

Il 22 agosto, ottava dell’Assunta, vi si celebrava la festa della Madonna di Canneto con grande concorso di cittadini e di fedeli, provenienti da molti paesi e città. Alla vigilia della festa, come da antica e lodevole tradizione, tutto il clero di Settefrati di buon mattino si avviava processionalmente verso detta chiesa, risalendo lentamente i monti e portando le reliquie dei diversi santi. Qui giunti, ad orario canonico, si cantavano i primi vespri solenni.

Nel giorno della festa, per comodità del popolo, si celebravano più Messe non solo nella chiesa grande, ma anche nella cappella dell’Annunziata, che sorgeva sul piazzale. Dopo le singole celebrazioni si distribuiva ai fedeli del pane, i cosiddetti panicelli.

Le offerte, che si raccoglievano durante la Messa solenne, spettavano alla chiesa di Canneto, che peraltro era tenuta a proprie spese ad assicurare mattina e sera il vitto a tutti i sacerdoti intervenuti ed ovviamente anche al personale laico addetto in quei giorni al santuario, nonché a fornire il frumento necessario per la confezione di quei pani.

La chiesa della Madonna aveva annualmente una rendita di 180 ducati, che venivano devoluti al seminario di Sora per sostenere i molti adolescenti, che qui si dedicavano agli studi umanistici e alla musica. Lodando questa pia e raccomandabile opera, il reverendo convisitatore concludeva la sua relazione.

Nella seconda sacra visita, avvenuta nel maggio 1642, tre anni dopo, si dava mandato agli amministratori del seminario di Sora, da cui continuava a dipendere la chiesa della Madonna, di provvedere allo spostamento dell’altare maggiore verso la parete di fondo e di ampliarne lo spazio di un palmo; inoltre di asportare o di disfare i due altari posticci, situati in detta chiesa; di riparare la parete nella parte posteriore del tempio; di togliere la legna posta sui travi di detta chiesa ed infine di provvedere del necessario l’altare, di porvi i candelieri e di mettervi a disposizione uno sgabelletto. Pertanto in tale epoca esistevano all’interno della chiesa di Canneto tre altari, uno centrale (l’altare maggiore ), che in quell’occasione mancava di parte dell’arredamento essenziale per celebrarvi, e due laterali, che dovevano essere rimossi, tutti situati nella parete di fondo, priva di abside, e corrispondenti rispettivamente alle tre navate.

La parete di fondo non era altro che il muro perimetrale, posto ad est, della navata trasversale o transetto, costruita ai tempi dell’abate d. Federico de Mamlion e resterà così fino alla nostra epoca. L’abside o costruzione semicircolare di questa parte terminale della chiesa, alle spalle dell’altare maggiore, sorgerà solo recentemente con i lavori di prolungamento dell’edificio sacro, avvenuti nel periodo 1951-1957.

Negli anni, di cui stiamo parlando (1639-1642), all’altare di centro era sistemata la cappella della Madonna, come confermerà meglio la testimonianza del 1693, di cui in seguito.

Dai due documenti in esame apprendiamo anche che al seminario di Sora, a cui spettava tutta la rendita del beneficio di Canneto per l’alto scopo educativo e formativo indicato, toccava pure l’onere di provvedere alla manutenzione e al funzionamento della chiesa della Madonna, al vitto ai presbiteri e al personale laico nei due giorni della festa e alla confezione dei panicelli da distribuire al popolo.

Ma, poiché la rendita annuale era appena sufficiente al mantenimento degli alunni e delle scuole del pio istituto, i responsabili del seminario demandavano questo compito di preparare il vitto e i panicelli per i due giorni della festa ai fittuari del1e terre del santuario, come risulta dai vari contratti di fitto, che si rinnovavano periodicamente e che vanno dal 1677 al 1830.

Intanto va qui ricordato che nei documenti che andiamo esaminando e in quelli che prenderemo in considerazione, atteso lo scopo specifico della presente ricerca storica, privilegiamo le notizie relative agli aspetti strutturali ed amministrativi della chiesa di Canneto, non omettendo però di fare un cenno anche alle altre notizie ivi contenute, specie se sono di grande importanza per la storia del nostro santuario, come quelle che rinveniamo nei due documenti in parola, soprattutto nel primo, in quello del 1639, più ricco di particolari, dove troviamo i primi accenni storici di alcune tradizioni e consuetudini plurisecolari di Canneto, quali il giorno della festa della Madonna, la processione delle reliquie della vigilia, l’esistenza di una cappella esterna dell’Annunziata e la distribuzione dei panicelli.

a) Il giorno della festa.

Era ed è rimasto per sempre il 22 agosto, ottava dell’Assunta. Nella lettera collettiva del 25 novembre 1475 dei due cardinali romani, Bartolomeo di S. Clemente e Giuliano di S. Pietro in Vincoli, il futuro papa Giulio II, il 22 agosto era uno dei cinque giorni nei quali si poteva visitare la chiesa di Canneto per lucrare l’indulgenza di 100 giorni: l’Assunta, l’Ottava, la Natività di Maria, la Natività di S. Giovanni Battista e la Dedicazione della chiesa.

Ma, con il passare del tempo, quattro di quelle ricorrenze, l’una dopo l’altra, decaddero e nel luglio 1639, quando è datato il primo documento in esame, era rimasta unicamente l’ottava dell’Assunta. Se si considera poi che tale giorno festivo appare fin dal novembre 1475 nella lettera collettiva delle indulgenze, non è illogico pensare che il 22 agosto fin dai tempi della lettera era divenuto la festa primaria della Madonna di Canneto.

Aggiungo che per la storia e la devozione mariana del santuario di Canneto l’ottava dell’Assunta era e rimane di grande interesse anche sotto l’aspetto teologico-liturgico ed iconografico, perché nell’ambito della solennità del ferragosto è nato e si è gradualmente sviluppato il culto della Madonna Bruna e il suo vetusto simulacro dovette essere in origine la statua dell’Assunta, che poi, dal luogo dove era posta la sua chiesa, si cominciò a chiamare Madonna di Canneto.

b) La processione delle reliquie

Si svolgeva il 21 agosto, alla vigilia della festa, da Settefrati a Canneto.Era "una lodevole e antica consuetudine", come scriveva l’arciprete Cardelli, la quale pertanto aveva le sue origini in epoche anteriori al 1639. Queste reliquie erano ovviamente quelle, che fino al 1574, come si ricorderà, si trovavano nella chiesa di Canneto, e che all’epoca del vescovo di Sora Giovannelli, intorno al 1618, erano state traslate e custodite nell’arcipretura di Settefrati sotto l’altare del patrono S. Stefano.

Nello stesso giorno e parimenti di buon mattino una processione del tutto simile a quella di Settefrati muoveva nel versante opposto del Melfa dal limitrofo paese di Picinisco, alla volta di Canneto. Erano i canonici della collegiata di S. Lorenzo, che, seguiti da un popolo festante, portavano quassù le reliquie dei santi in dotazione di quella insigne chiesa. Erano due popoli vicini in esultanza, testimoni entrambi da sempre delle epifanie mariane di Canneto.

A motivo della presenza di tante reliquie e di tanto popolo, il 21 agosto a Canneto divenne esso stesso un giorno di festa, che fu chiamato: "Festa delle reliquie". Come manifestazione esterna veniva organizzata dai pastori, i quali d’estate stanziavano su quelle montagne e ne sostenevano le spese, offrendo abbondantemente i prodotti squisiti dei loro greggi.

Tale festa, frutto dei buoni rapporti, che intercorrevano tra i due popoli vicini, si continuò a celebrare per quasi un secolo, poi per malintesi e gelosie facili a sorgere, specie in quei tempi, tra paesi limitrofi, decadde e sopravvisse solo a Picinisco nell’ambito di quella parrocchia. Qui il 21 agosto di ogni anno, nella solennità delle feste patronali, a ricordo degli antichi fasti di Canneto, si celebra ancora la "Festa delle reliquie".

c) La cappella dell’Annunziata. Un nuovo pellegrinaggio il 25 marzo

La chiesa di Canneto per l’accorrere sempre più numeroso di pellegrini, si era rivelata con il tempo ognor più inadeguata a contenere le folle dei fedeli, specie nel giorno della festa, cosicché gran parte di questi, per poter partecipare ai riti religiosi, dovevano accontentarsi di restare sul piazzale antistante, che per giunta in quelle epoche lontane era ancora ingombro di spuntoni di rocce, che riducevano molto gli spazi utili per sostarvi.

Di qui la necessità di costruire sul sagrato, al largo, a margine della faggeta dirimpetto, una cappella, dove la folla accorsa, pur restando all’esterno della chiesa grande, potesse agevolmente ("ob populi commodum"), partecipare alla Messa solenne della festività ed accostarsi all’Eucaristia.

Il tempietto fu dedicato all’Annunziata, sia come omaggio a un titolo mariano che in quell’epoca era dovunque "in auge" (in quei tempi sorsero chiese o cappelle con tale denominazione anche in alcuni paesi di Val Comino, a cominciare dalla coeva chiesa parrocchiale della SS. Annunziata di Villa Latina), sia come frutto di un nuovo pellegrinaggio a Canneto, oltre quello del 22 agosto, che si svolgeva il 25 marzo di ogni anno, il quale doveva preesistere alla data stessa del 1639 e che in seguito si sviluppò e sopravvisse fino all’epoca della prima guerra mondiale.

d) I panicelli

La distribuzione dei panicelli a Canneto in occasione della festa della Madonna il 22 agosto, che troviamo documentata per la prima volta nel 1639, doveva essere un’usanza molto antica e di origine benedettina, risalente cioè al periodo in cui quassù, ad officiare la chiesa di S. Maria di Canneto, si trovavano i monaci cassinesi, vale a dire dal 1288 al 1569, quando il patrimonio fondiario del santuario passò di nuovo dalla giurisdizione di Montecassino a quella della diocesi di Sora e fu unito dal vescovo Mons.Gigli al seminario sorano.

Difatti nella "Terra di S. Benedetto" la curia cassinese doveva dare un panicello ("unum panicellum") ai fittuari che a Natale, a Pasqua o nella ricorrenza di S. Benedetto portavano puntualmente i vari donativi (uova, polli, ciambelle, parti di animali uccisi ed altro del genere), dovuti all’abbazia per l’uso di terre ad essa appartenenti. Ne rinveniamo un cenno fin da uno strumento del 26 novembre 1270.

A Canneto l’usanza dei panicelli, a mio avviso, voleva essere, in questo stile benedettino, un piccolo "presente" o "grazie" dell’amministrazione del santuario per le tante offerte, che in molti modi i fedeli facevano alla chiesa della Madonna, a sostegno dell’opera del santuario. Una catena di generosità, che non è venuta mai meno nei secoli e che dura ancora oggi.

 

 

 

12. Pellegrinaggi a Canneto dal limitrofo paese di Picinisco (1639-1665). Nasce il culto di S. Anna                       Torna all'Indice

 

Picinisco è l’ultimo paese, che s’incontra sull’itinerario di Canneto, prima di affrontare le asperità dell’alta montagna e raggiungere la meta agognata, per le compagnie o processioni di devoti, che nel ferragosto di ogni anno provengono a piedi dalle pianure del basso Liri, dal Cassinate e dall’entroterra montuoso delle Mainarde, conservando una delle più antiche e predilette tradizioni del santuario, appunto il pellegrinaggio a piedi.

Un popolo, come quello di Picinisco, che fin dalla notte dei tempi conosce i fasti della chiesa di Canneto, ma anche i disagi di un luogo così singolare per altitudine, isolamento e variabilità di clima con conseguenti e ricorrenti problemi di manutenzione, di rinnovamento e di ricettività degli edifici sacri per le moltitudini di devoti che vi accorrono, ebbe nei tempi il suo proprio pellegrinaggio parrocchiale al santuario e una sua particolare devozione alla Madonna Bruna e alla sua diletta madre, S. Anna.

Il pellegrinaggio parrocchiale risulta storicamente e quindi con certezza dal 1639 in poi. Le testimonianze in merito ci provengono tutte dall’archivio della chiesa di S. Lorenzo del paese e più esattamente dai registri del collegio dei canonici di quell’insigne collegiata.

Ho detto che il primo pellegrinaggio a Canneto risulta nel 1639. Difatti per tale processione il capitolo della chiesa ricevette dai sindaci del luogo ("i sindaci della Terra") un compenso di 10 carlini da ripartirsi tra i singoli canonici, che avevano partecipato personalmente a quel rito penitenziale ai piedi della SS.ma Vergine. Una manifestazione di fede e di penitenza: ecco che cos’era allora e deve rimanere per sempre un pellegrinaggio a un santuario.

Un nuovo pellegrinaggio a Canneto da Picinisco è attestato il 10 agosto 1642 con un compenso di 10 carlini dati dalla medesima autorità civile ai canonici partecipanti. Due altre processioni, sempre promosse dai sindaci, si ebbero nel 1645.

Nel novembre 1660 i sindaci del paese versarono al capitolo della collegiata la somma di 20 carlini, sia per incoraggiare i canonici a prender parte a un pellegrinaggio a Canneto, sia perché essi, qui giunti, vi celebrassero una Messa in onore di S. Anna. Questa volta il compenso ai capitolari era stato raddoppiato per il duplice scopo della partecipazione alla processione a piedi e della celebrazione della Messa. È questo il primo accenno storico che si rinviene sul culto di S. Anna nella chiesa di Canneto. Ci tornerò subito appresso.

Il 4 maggio e il 10 agosto l662 sono annotati altri due pellegrinaggi a Canneto. Il 9 maggio dell’anno successivo, ad istanza dei sindaci, veniva recitata nella chiesa parrocchiale di Picinisco una litania alla Madonna di Canneto.

Edificante questa preghiera pubblica fatta dal popolo del luogo alla Madonna Bruna nella sua propria chiesa parrocchiale: era un atto di fede salda e sicura nella potenza d’intercessione della Madre di Dio, dovunque la si invocasse!

Nel 1665 si trovano registrati altri tre pellegrinaggi al santuario. Anche questi, come tutti o quasi tutti gli altri, erano promossi "ad istanza dei sindaci" o, che era lo stesso, "ad istanza della Terra". Gli scopi specifici per cui essi si effettuavano non risultano annotati, ma con ogni evidenza erano processioni penitenziali fatte per necessità pubbliche, come quelle di ottenere la pioggia o la serenità del cielo oppure per scongiurare delle calamità incombenti, come le carestie e i terremoti.

In quanto all’indicazione della meta troviamo scritto: "S. Maria di Candita" o "di Candito", come ci aveva già segnalato fin dal 1574 lo storico Giulio Prudenzio di Alvito: un’alterazione del toponimo originario.

Riguardo al culto di S. Anna, quella Messa da celebrarsi in suo onore a Canneto nel novembre 1660 durante il pellegrinaggio parrocchiale di Picinisco prova nella maniera più ovvia e più semplice che nel santuario esisteva già una devozione particolare alla madre di Maria, che si sviluppava accanto e nella gran luce di quella assai più antica e profonda, che i fedeli nutrivano verso la Madre di Dio.

In seguito tale devozione particolare crebbe a tal punto che la stessa ricorrenza liturgica di S. Anna del 26 luglio divenne un’a1tra festa tipica del santuario di Canneto con pellegrinaggio proprio, che si aggiunse ai cinque tradizionali giorni delle celebrazioni mariane del ferragosto. Festa e pellegrinaggio, che durano ancora oggi.

Nel santuario di Canneto S. Anna, a motivo della sua tardiva maternità, è invocata particolarmente dalle giovani spose, che aspettano invano il frutto del loro amore o da quelle che, avendolo ottenuto, alimentano la speranza di un lieto parto.

13. Lascito testamentario di d. Giovanni Macari di Settefrati (25 settembre 1656). Copertura a scandole della chiesa. Il primo eremita                       Torna all'Indice

 

Il 25 settembre 1656 d. Giovanni Macari di Settefrati, con testamento olografo, firmato da cinque testimoni, scriveva le sue ultime volontà circa la destinazione da dare ai suoi beni dopo la sua morte. Tra le sue disposizioni spiccava il lascito fatto alla chiesa di S. Maria di Canneto, che iniziava con la rituale formula: "Parimenti lascio alla Madonna di Candeto (sic!) …".

Lasciava otto appezzamenti di terra in gran parte aratoria, siti in territorio di Settefrati in diverse località: a Guado Sambuco o S. Angelo, alla Botte, alla Strasinara, alla Grotta di Chesa e a Colle Zappitto, alle seguenti condizioni: 1) che dette terre passassero in proprietà della chiesa di Canneto il giorno immediatamente susseguente alla sua morte; 2) il fittuario di tali beni consegnasse ogni anno "una misura di scandole" per il tetto della citata chiesa; 3) dal momento che la chiesa della Madonna aveva il suo eremita, che era capace di fare le scandole e lavorare le terre donate, si affidassero a lui tutti e due i compiti, relativi alle scandole e alla coltivazione; 4) qualora l’eremita non accettasse la proposta, si doveva interessare di tali questioni e risolverle positivamente l’ultimo sacerdote di Settefrati, che aveva fatto gli studi nel seminario di Sora.

Dopo appena due anni il generoso testatore passò a miglior vita e pertanto il 23 dicembre 1658 il notaio Bartolomeo Riccardo di Sora diede esecuzione al suo testamento e in particolare al lascito fatto alla Madonna di Canneto.

Il documento è inedito e tra l’altro ci fa conoscere due notizie di rilievo riguardanti la chiesa di Canneto. La prima è che nel 1656 il tetto dell’edificio sacro appariva coperto a scandole, cioè di sottili tavolette di legno, atte per costruzioni d’alta quota. Una notizia questa che tocca direttamente il tema generale della presente ricerca storica.

La seconda è che fin dal detto anno la dimora alpestre della Vergine Bruna teneva il suo eremita. Una bella notizia, che fino ad oggi non risultava. Il primo eremita finora conosciuto era Domenico Gizzi di Settefrati (1691).

In merito alla parola "scandola", oggi pressoché sconosciuta, il grande dizionario italiano Garzanti spiega: "sottile tavoletta di legno usata per la copertura di tetto in zona di montagna". Siamo al caso della chiesa di S. Maria di Canneto. Il fittuario delle otto terre lasciate alla Madonna da d. Macari doveva fornire ogni anno un certo quantitativo di scandole o tavolette. È difficile oggi quantificare quell’ "una misura di scandole", che lui doveva dare annualmente.

L’eremita di Canneto del 1656, quantunque non ne conosciamo il nome, sapeva tuttavia fare le scandole o tavolette e lavorare la terra.

Ma suo compito precipuo era quello di attendere e custodire la chiesa della Madonna, soprattutto nei lunghi inverni, e di segnalare ogni necessità o inconveniente, che là si verificasse, prima all’arciprete di Settefrati, dal quale direttamente dipendeva e, tramite questo, ai superiori del seminario di Sora, che amministravano il grande beneficio di Canneto.

Ma già in quell’epoca e molto di più nelle epoche successive, anche alcune altre insigni chiese isolate e fuori degli abitati, come S. Maria del Campo di Alvito e S. Maria di Picinisco, per volontà dei vescovi diocesani, avevano il loro eremita.

 

14. La chiesa di Canneto nell’ultimo scorcio del sec. XVII: il nuovo tetto a canali e la nuova nicchia alla Madonna (1691-1695)                       Torna all'Indice

 

Il 31 marzo 1691 gli amministratori del seminario di Sora, a cui spettava il diritto di disporre, come meglio ritenevano, delle terre di S. Maria di Canneto, con specifico contratto agrario affidavano per quattro anni dette terre a tre nuovi locatari di Settefrati: Giovanni Malizia, Giambattista Sacco e d. Rocco di Preta, con l’obbligo di corrispondere ogni anno al venerabile istituto sorano 146 tomoli di buon grano.

Inoltre detti fittuari entro tale tempo dovevano a proprie spese acquistare mille canali e, d’accordo con l’eremita di allora Domenico Gizzi, farli trasportare a Canneto e sistemare adeguatamente sulle tettoie del santuario. Quello del marzo 1691 era in ordine di tempo il quarto contratto agrario, che i superiori del seminario stipulavano, a partire dall’aprile 1677, come ricorda il vecchio "Polsario riguardante i beni appartenenti al seminario di Sora 1675-1733", conservato ancora presso l’archivio del pio istituto.

Nel contratto del 1691 per i nuovi fittuari mancava l’obbligo di confezionare i panicelli per le feste della Madonna, poiché essi in quei quattro anni erano già oberati dal maggiore onere di procurare quei tanti canali, di farli trasportare sul luogo e di porli in opera.

Sostituendo le scandole con i canali o coppi, posizionati a file verticali alterne di dritto e rovescio, la direzione della chiesa di Canneto optava per un nuovo tipo di copertura, che sarebbe durato fino ai nostri tempi. Per impedire ai vortici dei venti, che quassù sono assai forti, di sollevare i coppi posti all’estremità inferiori, al limite delle gronde, questi erano tenuti fermi da uno o due filari di sassi, che in seguito divennero la caratteristica di simili costruzioni.

Per due secoli e mezzo a Canneto, per le particolari condizioni del luogo, non si pensò ad altro genere di tetto. Il nuovo sistema di copertura dei sacri edifici sostanzialmente teneva.

Ma nel 1937 solo per la chiesa fu realizzata una copertura ad eternit con lastre ondulate e bullonate ai sottostanti listelli di legno, che durò salda e compatta fino al settembre 1978, quando venne demolito il vecchio santuario. Era il tetto-tipo che ci voleva per una costruzione, come quella della chiesa della Madonna, situata a quell’altezza ed esposta a tutte le escursioni termiche e ai venti impetuosi della valle.

Nel 1693 Cristoforo Bartolomucci, facoltoso cittadino di Picinisco, per grazia ricevuta, faceva scolpire a sue spese un’artistica nicchia di pietra colorata ed intarsiata alla Madonna di Canneto, posta sull’altare centrale ed incavata nella parete di fondo della chiesa con in alto la scritta del suo donatore e dell’anno.

Il magnifico lavoro è rimasto fino ai nostri giorni ed è scomparso nel 1951, quando fu abbattuta la parete di fondo per la realizzazione della nuova abside, secondo il progetto dell’ing. Umberto Terenzio di Settefrati.

L’opera dimostra che la crociera della chiesa, ovvero l’aula grande trasversale nella quale si aprivano le tre navate, nel sec. XVII esisteva già. È questa una notizia di non poco conto dal momento che su tale consistente corpo di fabbrica, che segnò il primo vero ingrandimento e prolungamento della chiesa di Canneto, nelle mie ricerche presso gli archivi non si rinviene traccia alcuna.

Esso, come già rilevato, dovette essere aggiunto alla piccola primitiva chiesa a tre navate all’epoca dell’abate d. Federico de Mamlion ( ...1530-1533).

 

 

 

15. Visite pastorali nel maggio 1707 e 1710: i primi cenni storici della statua della Madonna di Canneto (1707)                       Torna all'Indice

 

Il 12 e 13 maggio 1707 il vescovo di Sora, Mons. Matteo Gagliano, recatosi in sacra visita a Settefrati, visitava le seguenti chiese ed opere pie: S. Stefano, S. Maria della Tribuna, S. Felicita e SS. Sette Fratelli, S. Maria delle Grazie e l’ospedale parrocchiale. La chiesa di S. Nicola era diruta da molti anni.

Per un sopralluogo all’alpestre chiesa di S. Maria di Canneto il presule delegò il canonico d. Pietro Abbondio Battiloro di Arpino, suo convisitatore. La relazione, che costui stese dopo la sua andata e ritorno da Canneto e che fu acclusa agli atti della sacra visita del 1707, ci riferisce quanto segue:

L’incaricato vescovile, accompagnato da alcuni presbiteri e cittadini di Settefrati, si avviò a dorso di mulo verso la chiesa della Beata Vergine di Canneto, situata in territorio di Settefrati tra alti monti e distante dall’abitato circa cinque miglia. Il cammino fu assai disagevole, perché dovette svolgersi per sentieri ripidi e scoscesi.

Raggiunta la chiesa, egli fece una breve preghiera dinanzi all’altare maggiore, dove era esposta l’antica statua ("antiquum simulacrum") della Beata Vergine Maria, ed assunto i paramenti sacri, celebrò la Messa. Terminata questa, egli diede subito inizio alla visita di quel luogo sacro. La chiesa predetta era unita al seminario di Sora e non aveva oneri di alcun genere.

Nell’ottava dell’Assunzione ricorreva la festa di quella Beata Vergine, alla quale da ogni parte confluiva una grande moltitudine di gente e partecipavano anche l’arciprete e gli altri ecclesiastici di Settefrati, per celebrarvi la Messa con i primi e i secondi Vespri.

Poiché l’altare maggiore, dove aveva celebrato, si trovava privo del necessario arredamento, diede mandato di provvederlo di sei candelieri, di pari numero di vasi di fiori, di due mappe, di croce più decente, di carteglorie, di lavabo e di pallio sul davanti. In quanto ai due altari laterali ivi esistenti, dove a quanto si diceva non si era mai celebrato, ingiunse di dotarli di tutto l’indispensabile per la Messa e di dare ad essi una sistemazione più conveniente, anche se non dovevano servire per la celebrazione.

Le pareti esterne dell’edificio sacro, a sinistra dell’ingresso, essendo pericolanti, dovevano essere rafforzate quanto prima possibile, per evitare un ulteriore deterioramento delle medesime con la sopraelevazione del muro già iniziato all’angolo esterno, da farsi a spese del seminario nel termine di un anno, pena la sospensione dei frutti del beneficio di Canneto annesso al pio istituto. Dentro lo stesso tempo si doveva porre l’inferriata a una finestra della chiesa.

Il sacello dell’Annunziata, situato presso il tempio, rimaneva sospeso da qualunque funzione, specie nel giorno della festa, quando vi si celebrava, alla presenza della folla ivi accorsa, perché ridotto a uno stato di pericolo e di indecenza. Poiché il sacro luogo mancava di un custode ed eremita, il convisitatore faceva obbligo a chi di dovere di provvederlo per la cura e la custodia di esso.

In questo ragguaglio del canonico Battiloro di Arpino troviamo un quadro abbastanza chiaro e soddisfacente di Canneto e della sua chiesa all’inizio del sec. XVIII. Veniamo a sapere un po’ di tutto, relativo alla chiesa, al suo interno, agli altari, all’arredamento, al pellegrinaggio, alla festa, alla statua della Madonna ed anche al sacello dell’Annunziata antistante sul piazzale.

La chiesa era quella stessa del passato: a tre navate con crociera e tre altari sul fondo. Non c’erano novità rispetto a quella che già conosciamo, anzi aveva bisogno di un muro di sostegno esterno alla parete di sinistra, che era pericolante. Sull’altare centrale, l’altare maggiore, troneggiava l’antica statua della Madonna.

È questa la notizia più importante di tutta la relazione. È il primo cenno all’esistenza nel santuario della celebre scultura in legno della Madonna che ho rinvenuto, ed è pertanto da considerarsi il nuovo "terminus a quo" storico del simulacro che risulta di appena tre anni anteriore al precedente, che fino ad oggi era stabilito al l710, quando è datato un altro documento dell’archivio diocesano, di cui subito appresso.

Tuttavia, come già precisavo nel mio volume sul santuario di Canneto (1969), attesi i tratti stilistici che restano dopo maldestre manomissioni avvenute nel tempo, nonché i pareri di esperti d’arte, la statua di Canneto ci riporta a un’epoca assai più antica della data storica qui segnalata, con le seguenti caratteristiche: "Scultura lignea del sec. XIII-XIV, bizantineggiante, madonna molto popolare, probabilmente lavoro artigianale abruzzese. Come si vede, ci troviamo di fronte non ad una poderosa creazione del genio, ma ad una pudica e ingenua madonna della figurativa popolare" (Il Santuario di Canneto..., pp. 259-260).

Tre anni dopo, il 9 e 10 maggio 1710, il vescovo Mons. Gagliano tornava ancora una volta in visita pastorale a Settefrati. Tra le chiese visitate figura anche quella di S. Maria di Canneto. Per il sopralluogo alla chiesa alpestre anche in questa occasione lui delegò il suo convisitatore, che era d. Nicola Celli, abate curato di Posta Fibreno.

L’incaricato vescovile, fatta la visita, riferiva l’esito del suo viaggio. Egli scrive come a dorso di mulo si era portato a quella chiesa attraverso una via ripida e malagevole, che si inerpicava tra monti alti e boscosi e come, qui giunto, fatta una breve preghiera all’altare maggiore, dove si trovava il vetusto simulacro ("vetustum simulacrum") della Vergine, aveva iniziato a fare la sua visita.

La prima constatazione che egli fece fu quella di trovare la chiesa del tutto negletta e che i decreti della precedente sacra visita non erano stati eseguiti. Per tale ragione dichiarò interdetta la chiesa e tale doveva rimanere fintanto che non fossero stati realizzati i seguenti lavori: consolidare le pareti esterne, a sinistra di chi entrava, divenute pericolanti; restaurare o, se fosse il caso, rinnovare la statua della Madonna; provvedere la cappella della Vergine di tutto il necessario per celebrare la Messa; costruire un soffitto in tutto il corpo della chiesa; intonacare ed imbiancare tutte le pareti; rimettere a nuovo il pavimento, che in alcuni punti appariva sconnesso, e munire di inferriate le finestre inferiori.

Rimaneva interdetto anche il vicino sacello dell’Annunziata, già sospeso nelle precedenti visite pastorali, a causa della sua decadenza e pericolosità, che di anno in anno si facevano più gravi. Lavori, questi, di non lieve entità, che erano a totale carico del seminario di Sora.

Per la verità storica va qui detto senza remore e reticenze che in quelle epoche, come risulta da questo decreto di sacra visita e da qualche altro precedente, la manutenzione ordinaria del santuario, che era affidata al pio istituto sorano, era assai carente e che alle cospicue rendite del beneficio di Canneto, di cui esso godeva, non rispondeva un adeguato interessamento e una vigile premura per la chiesa della Madonna.

Tra i lavori da eseguirsi due hanno particolare attinenza con il tema di questa ricerca: il soffitto da farsi e la sistemazione delle finestre inferiori. La chiesa nella sua parte interna era tutta o quasi tutta sotto tetto, cioè priva di soffitti. È un aspetto dell’interno, che scopriamo qui per la prima volta. Più esattamente, le parti del tempio che si trovavano in queste condizioni, dovevano essere la navata centrale e il transetto o crociera.

Le navette laterali non ne avevano bisogno, perché al di sopra di esse d. Federico de Mamlion, come si ricorderà, aveva costruito diverse stanzette.

In quanto alle finestre inferiori ("in fenestris inferioribus"), cioè poste in basso, alla portata di tutti, e perciò da munirsi di inferriate, esse dovevano trovarsi nelle due navette laterali, una o due per parte, a dar luce alle medesime, poi, nei successivi restauri, scomparse.

In ultimo, il documento del 1710 ci parla esplicitamente del "vetusto simulacro" della Madonna, che, atteso il suo stato di deterioramento, aveva urgentemente bisogno di essere restaurato o addirittura rinnovato. Fu scelto ovviamente il restauro.

Il lavoro, in applicazione del decreto di sacra visita, dovette essere effettuato in quegli anni, perché in seguito non se ne rinviene più cenno. Ma quello fu uno dei tanti interventi maldestri, che il gruppo ligneo di Canneto ebbe a subire durante i secoli e che a poco a poco alterarono irrimediabilmente la tipologia originaria dell’antica scultura.

 

16. La chiesa di S. Maria di Canneto menzionata nella monumentale opera storica del Gattola di Montecassino (1734)                       Torna all'Indice

 

Nel 1733 e 1734 Erasmo Gattola, celebre prefetto dell’archivio dell’abbazia di Montecassino, per i tipi di Sebastiano Coleti di Venezia pubblicava la sua monumentale opera "Historia Abbatiae Cassinensis" in quattro volumi. Nelle sue "Accessiones" (1734), nel descrivere le sorgenti del Melfa, che erompono ai piedi di una rupe scoscesa, ricorda anche il santuario, posto in quella valle, rilevando che tali sorgenti si trovano presso la chiesa di S. Maria di Canneto sui monti Appennini in territorio di Settefrati.

Citando poi il Tauleri, storico di Atina, ricorda ancora che Francesco Visdomini, segretario dell’em.mo cardinale di Como, Tolomeo Gallio (nell’ultimo scorcio del sec. XVI) in una lettera pubblicata su un suo volume esalta la bellezza di quell’angolo della Valle di Canneto, dove un fiume sgorga di sotto a un grosso masso, nonché la preziosità di quelle acque gelide e limpide, come ebbe a constatare lui stesso, immergendovi le mani per "pigliare di quelle arene d’oro", che qui si vedono, giusto quanto sostiene Ippocrate, il quale asserisce che "una delle prime condizioni dell’acqua buona è la freschezza".

Il Gattola, citando sempre il Tauleri, conclude la sua descrizione sulla bontà delle acque del Melfa, affermando che il dottor fisico Giambattista Mella di Atina, già nel 1586, quando discusse e pubblicò a Roma i suoi "Teoremati e Problemati", aveva parlato della "praestantissima et perfectissima aqua" di questo fiume, che – meraviglia! – trae con sé scagliette di minerale d’oro, senza accennare alle sue caratteristiche e alle ottime trote, di cui è ricca.

 

17. Pellegrinaggi di Picinisco a Canneto per pubbliche necessità dal 1726 al 1755                       Torna all'Indice

 

Il popolo di Picinisco, da sempre profondamente devoto della Madonna di Canneto, anche durante il sec. XVIII, come già in quello precedente, giusto quanto abbiamo riferito nell’ultima puntata, salì, in spirito di penitenza e di totale fiducia nella Madre di Dio, al suo alpestre santuario a1lo scopo di implorare dalla Vergine aiuti speciali per superare emergenze o scongiurare pubbliche calamità.

Anche di queste visite straordinarie si rinviene una traccia storica significativa nei manoscritti dell’archivio parrocchiale di Picinisco. Le processioni a S. Maria di Canneto pure in questo secolo, come in quello precedente, risultano promosse, nella maggior parte dei casi, dai sindaci del paese ed avvennero con frequenza maggiore di quelle del secolo passato ed erano motivate da pubbliche necessità o calamità espressamente annotate: per implorare cioè dalla Madonna Bruna, spesso, la pioggia o i1 buon tempo, più raramente (grazie a Dio!) la cessazione di un terremoto.

Così, in quanto ai promotori o patrocinatori di dette processioni, troviamo annotate queste espressioni: "ad istanza dei sindaci" oppure "ad istanza dell’Università", "domandata in dono" ovvero "processione a Canneto donata", alludendo a qualche nobildonna del luogo, che aveva messo a disposizione una generosa offerta per un piccolo compenso ai canonici partecipanti.

Difatti tali pellegrinaggi erano tutti presenziati dai canonici della collegiata di S. Lorenzo, che ricevevano dall’ "Universitas" locale (il Comune) alcuni carlini a testa, se intervenivano. Di qui l’annotazione esplicita degli assenti.

La documentazione va dal 1726 al 1755. Nell’arco di 29 anni avvennero ben 42 processioni penitenziali straordinarie alla Madonna di Canneto. Nella lunga enumerazione manca più di qualche anno, mentre in alcuni anni se ne svolsero due, come nel 1729 e 1735, oppure tre, come nel 1738 e 1739. Né mancò il caso che se ne effettuassero diverse in un solo mese; così nel giugno 1742 ne troviamo annotate quattro, i giorni 3, 6, 12 e 19 del mese. A1cune considerazioni

1- È questa una pagina, che al di là dell’aridità dei numeri e delle scadenze, costituisce una testimonianza inequivocabile dell’amore e della riconoscenza che il popolo di Picinisco ha sempre nutrito verso la Madonna di Canneto;

2- Il documento prova che tra quei fedeli e la Madre di Dio, venerata in quel santuario, esisteva un rapporto privilegiato di devozione e di fiducia illimitata al punto che nelle calamità incombenti o da far cessare, essi non conoscevano altra immagine a cui rivolgersi o altra chiesa, dove recarsi per essere certamente esauditi, che quelle di Canneto;

3- Quei 42 pellegrinaggi penitenziali su menzionati non furono dei fatti esclusivamente religiosi, ma anche eventi di carattere civile e sociale, poiché coinvolsero ogni volta tutta la comunità cittadina nelle sue tre principali componenti: il popolo, il clero e i sindaci del luogo, i quali ultimi, come rappresentanti di tutta l’ "Universitas" e dei suoi più importanti interessi, ne furono anche i promotori e i sostenitori con la distribuzione di piccoli compensi ai canonici della collegiata, che vi partecipavano;

4- Questo insieme di fatti evidenzia tra l’altro che al santuario di Canneto, oltre a un pellegrinaggio di massa, che vi affluiva nei giorni delle feste di agosto, esisteva anche un pellegrinaggio parrocchiale feriale, completamente sconosciuto alle fonti storiche primarie dell’archivio diocesano; difatti non ne rinveniamo traccia alcuna.

 

18. Nel gennaio 1749 gran parte del patrimonio fondiario di S. Maria di Canneto era situato in territorio di Settefrati.                       Torna all'Indice

 

Nel registro n. 1502 "Apprezzi e squarciafogli" dell’archivio di Stato di Napoli, in data 2 gennaio 1749, in territorio di Settefrati, troviamo ubicati n. 67 appezzamenti di terra, appartenenti alla Cappella di S. Maria di Canneto ("S. Maria di Canneti"). Tali beni assommavano a n. 144 tomoli ed erano situati in n. 44 località rurali (microtoponimi) del paese.

Le località, che avevano più di un appezzamento, erano: la Cappella (n. 7 fondi), Campogrande (n. 3), Fonticella di magra (n. 5), Fonte di S. Giorgio (n. 2), Renaro (n. 2), Campitello (n. 3), Varuncio (n. 3), Fonticarri (n. 2) e lo Grano (n. 2). Le altre erano zone con una sola possessione. Alcune tra queste erano località storiche, come Fontana, Fonte S. Giorgio, Casafirma, La Canala, Fonte della Rocca, Acqua Santa. Mi soffermo solo su tre di esse.

A Fonte S. Giorgio in epoca presaracena (881) sorgeva la prima chiesa di Settefrati, denominata S. Giorgio, che era una dipendenza dell’abbazia di S. Vincenzo al Volturno. A La Canala nel 1392, per motivi climatici e di maggiore sicurezza, si erano trasferiti definitivamente i monaci benedettini di Canneto e vi facevano vita comune.

Alla Rocca di Settefrati (oggi Valico Don Bosco), a quota m. 1191 s.l.m., alle spalle del monumento al Santo della gioventù, va localizzata, ormai con certezza storica, l’omonima Rocca delle nuore, detta in seguito Rocca delle quattro nuore, una fortezza cominese fino ad oggi introvabile, sorta nella seconda metà del sec. XII e distrutta nel 1435 dalle milizie aragonesi, capitanate dal conte Riccio da Montechiaro.

Secondo l’inventario in oggetto, nel 1749, il patrimonio fondiario di S. Maria di Canneto, nella quasi totalità della sua consistenza ed estensione, era posto nel territorio di Settefrati, così come era già avvenuto nell’agosto del 1619, quando è datato il primo inventario storico di quella chiesa, del quale si è succintamente parlato nel Bollettino del Santuario n. 5 (p. 20).

Ho detto "quasi", poiché in quell’epoca, secondo il catasto onciario del 1747 del Comune di Picinisco, quattro possessioni appartenenti alla "Cappella della Madonna di Canneto", consistenti in terreni e "piedi di olive", si rinvenivano in quattro siti diversi anche nel territorio di questo paese limitrofo.

Di fronte a codesto imponente e vasto patrimonio terriero, che il popolo di Settefrati ha creato nei secoli in segno di amore e di riconoscenza alla Madonna di Canneto, noi devoti da sempre di tanta Madre non possiamo non rimanere stupefatti ed edificati, nonché non sentirci fortemente incitati al bene e alla generosità dall’esempio di un grande popolo, come quello di Settefrati, per secoli profondamente innamorato della SS. Vergine di Canneto.

 

19. Relazioni dei vescovi sorani alla S. Congregazione ("Ad limina") nella seconda metà del sec. XVIII. La prima notizia della chiesa di S. Michele Arcangelo di Pietrafitta (1751).                       Torna all'Indice

 

Il 29 maggio 1751, il vescovo di Sora dell’epoca, Mons. Correale, relazionando brevemente alla S. Congregazione del Concilio sullo stato delle chiese di Settefrati (appena 24 righe), dopo aver fatto cenno alle chiese del paese: S. Stefano, S. Nicola, S. Maria della Tribuna e S. Maria delle Grazie, menzionava due chiese, che si trovavano all’estremo nord e all’estremo sud del territorio settefratese: rispettivamente S. Maria di Canneto e S. Michele Arcangelo di Pietrafitta.

La prima, riferiva il presule, distava tre miglia dal centro abitato, era posta in una valle, circondata da altissimi monti, presso le sorgenti del fiume Melfa; risultava di non indecente struttura e, per quanto riguardava la suppellettile sacra necessaria per la celebrazione della Messa, essa veniva portata da Settefrati, specie nel giorno della festa, che ricorreva nel mese di agosto. Dipendeva dal seminario di Sora, al quale stava unita.

La seconda, la chiesa di S. Michele Arcangelo, si presentava ben strutturata ed abbellita, era stata edificata da poco ("recens edificata") per comodità del popolo, che abitava nella campagna in casolari sparsi. Attesa la sua recente costruzione, la data del 29 maggio 1751 credo sia da ritenersi la prima notizia storica del tempio.

La magnifica chiesa esiste ancora ed è divenuta parrocchiale. Dopo il sisma del maggio 1984, che l’aveva gravemente danneggiata, è stata artisticamente restaurata e per i suoi nuovi stucchi, le sue pitture nel soffitto e la sua illuminazione elettrica, nonché per il suo antico organo a canne, ripristinato nel corrente anno e del tutto simile a quello che si trovava nella vecchia chiesa di Canneto, andato completamente in disuso nell’immediato dopoguerra, è divenuta più splendida che mai. Per tutto questo, una chiesa da visitarsi.

Un’altra relazione "ad limina", nella quale si rinviene un cenno anche alla chiesa di Canneto, risulta quella del 29 gennaio 1776. Nel documento, Mons. Sisto y Britto, vescovo diocesano dell’epoca, dopo aver parlato succintamente delle altre chiese di Settefrati, affermava che la chiesa di S. Maria di Canneto distava dal paese tre miglia, era posta presso le sorgenti del Melfa ed apparteneva al seminario di Sora.

Nella successiva ed ultima relazione "ad limina", che conosciamo, datata il 20 febbraio 1802, il nuovo vescovo di Sora, Mons. Colaianni, parlando di Settefrati, in merito alla medesima chiesa faceva gli stessi rilevamenti del suo immediato predecessore sulla distanza, sull’ubicazione e sulla dipendenza dal seminario sorano.

Ma il detto presule, negli atti delle sue due visite pastorali effettuate a Settefrati all’inizio del sec. XIX (ossia nel giugno 1800 e nel settembre 1805), come meglio sarà precisato in seguito, pur ripetendo i medesimi dati di cui sopra, aggiunge qualche breve, ma interessante notizia riguardante direttamente il tema generale di questa ricerca storica.

 

20. Rinvenimento dell’ex-voto alla dea Mefite (1786). Opinioni contrastanti sul sito del ritrovamento.                       Torna all'Indice

 

Si tratta della ben nota colonnina in calcare locale con l’epigrafe dedicatoria in caratteri onciali alla dea Mefite (sec. I d.C.), conservata nel santuario di Canneto. L’iscrizione testualmente dice: "Numerio Satrio Stabilione, liberto di Numerio, e Publio Pomponio Salvio, liberto di Pomponio, fecero dono a Mefite".

Erano due liberti, appartenenti rispettivamente alla "gens Satria" e alla "gens Pomponia", che in ringraziamento a quella divinità fecero il loro dono, consistente nella colonnina con l’iscrizione dedicatoria e con sovrapposta la statuetta della dea. Mefite, divinità italica, era invocata per la fecondità dei campi e degli animali e per la fertilità muliebre.

Il suo culto, non di rado, era strettamente connesso, come nel nostro caso, con un bacino d’acqua dolce e più spesso con una sorgente sulfurea. Tale deità era venerata in varie parti d’Italia, come a Potenza, Grumento, Rocca S. Felice, Roma, Cremona e Lodi. Tracce di tale culto si rinvengono anche in località a noi vicine e familiari: a Casalattico, a sud di Val Comino e, in forme più rilevanti, nella città di Aquino.

Ma il santuario di Mefite più famoso dell’antichità era in Irpinia a Mirabella Eclano nella Valle di Ansanto, sublimemente celebrato da Virgilio (Eneide VII, 563 sgg.). Qui in sovrapposizione e in antitesi a tale culto si è affermato nel tempo il culto di S. Felicita, mentre nella Valle di Canneto per le medesime ragioni è sorto prima il culto della Beata Vergine, poi poco più lontano, quello di S. Felicita in due località del medesimo paese: a Settefrati centro e a Pietrafitta, dove si trova una cappella alla martire con uno sgorgo d’acqua sul davanti, detta "Acqua santa".

In quanto alla colonnina dell’ex-voto di Canneto, secondo le mie ultime ricerche sulla dibattuta questione del sito del ritrovamento, il primo scrittore di Val Comino, che ne parla, risulta il poeta Rocco Soave di Atina.

Costui, pubblicando a Napoli nel 1786 il suo poemetto intitolato "Il Canneto", che aveva lo scopo di richiamare l’attenzione e l’interessamento del re Ferdinando IV sulle miniere di ferro del monte Meta, scoperte in quegli anni, fa un cenno per la prima volta a questo importante reperto archeologico.

Difatti in una nota del "canto primo" (pp. 21-22 n. 12) egli afferma che detta lapide con la dedica alla dea Mefite, anni prima, era venuta alla luce ai piedi di un monte vicino ad Atina e che allora si trovava presso la sua abitazione.

Invece, poco più di un decennio dopo, il Pistilli (1798) dava notizia che la colonnina era stata dissotterrata a Canneto nel luogo dove sorge la chiesa, avallando in tal modo l’ipotesi di un tempio alla dea Mefite, ivi preesistente. Poco tempo dopo, anche il Giustiniani (1805) confermava il suo ritrovamento a Canneto nel sito anzidetto.

Il Mommsen (1883) vide il reperto negli orti dei fratelli Visocchi di Atina e lo recensì nel suo "Corpus Inscriptionum" (CIL X 5047). Pertanto il sito del suo rinvenimento rimane incerto ed assai discusso. Quello che è certo è che l’ex-voto di Mefite da tutto, o quasi, il secolo scorso si trova a Canneto.

Ai nostri giorni, anche se nei recenti scavi per le fondazioni del nuovo santuario non sono affiorati resti di qualche insediamento sacro pre-cristiano, il deposito votivo rinvenuto nel 1958 alle sorgenti del Melfa, a poca distanza dalla chiesa della Madonna, in occasione delle opere di captazione delle acque del fiume, testimonia inconfutabilmente, grazie soprattutto alla datazione delle monete ivi rinvenute, l’esistenza a pochi metri di profondità di un santuario italico-romano risalente al sec. IV-II a.C., assai frequentato in tale epoca e con condizioni di culto affini a quelle della dea Mefite.

 

21. La reale Ferriera di Canneto (1780-1850)                       Torna all'Indice

 

Fu un avvenimento, che ebbe nell’epoca una vasta risonanza, e pertanto, pur se non riguarda direttamente la presente ricerca, credo assai opportuno darne un breve ragguaglio.

Tra la seconda metà del sec. XVIII e la prima metà del secolo seguente la Valle di Canneto con tutta la regione montana, che va da Settefrati a Picinisco, a S. Donato V.C., Alvito e Campoli, fu al centro dell’interesse del Governo Borbonico di Napoli per lo sfruttamento industriale dei giacimenti limonitici o di sesquiossido di ferro idrato, di cui sono ricche dette montagne.

La scoperta del minerale, come riferisce il dott. Serafino Orlandi di Picinisco, medico delle maestranze addette alla fonderia di Canneto, nel suo manoscritto (1831), che si conserva ancora, avvenne fortuitamente ad opera di due suoi concittadini, che andavano raccogliendo erbe medicinali e che riportarono in paese alcuni piccoli campioni del minerale.

La notizia giunse ben presto alla regia corte di Napoli, che inviò sul posto vari esperti siderotecnici delle Reali Ferriere di Mongiana in Calabria, il maggiore dei quali era l’architetto Mario Gioffredo, con lo scopo di verificare in loco la fondatezza della preziosa informazione, di eseguire i primi saggi sulla fusione del minerale in vista di un razionale sfruttamento a conto dello Stato.

I risultati dei vari sopralluoghi furono positivi e promettenti, soprattutto perché nella valle di Canneto si rinvenivano insieme, in uno spazio relativamente ristretto, le tre condizioni essenziali per far funzionare bene e stabilmente una ferriera: il minerale, di cui abbondavano quelle montagne; la forza motrice, che poteva provenire dalla caduta naturale delle acque del Melfa, e il combustibile derivante, come da fonte inesauribile, dalle fitte boscaglie circostanti.

Nel giro di qualche anno, al lato sud del poggio sul quale è posta la chiesa della Madonna, su progetto dell’architetto Gioffredo, sorse lo stabilimento siderurgico di Canneto. Nella realizzazione dell’opera il progettista, come annota il citato Orlandi nella sua memoria scritta, riutilizzò le mura superstiti dell’antico monastero benedettino ivi situato.

La ferriera, che comprendeva un impianto di prima fusione ed impianti di raffinazione, anche con la collaborazione e competenza di abili artiglieri, fatti venire da Mongiana in Calabria a Canneto, iniziò a produrre sia ferro dolce per usi civili, sia proiettili di artiglieria ed altri manufatti di fusione.

Ma poi, intrighi, interessi, gelosie e sabotaggi costrinsero la reale Ferriera di Canneto, prima a sospendere la produzione, poi a chiudere i battenti. Nel 1798 il complesso siderurgico era già in rovina e non si trovò chi lo volesse acquistare. Nel 1852 da parte del Governo Borbonico ci fu un tentativo di riattivare la magona di Canneto con l’invio di commissioni di esperti sul posto.

Ma negli anni seguenti a Rosanisco, in territorio di Atina, sorgeva una nuova ferriera più accessibile e moderna di quella di Canneto. Poi nel 1860 con la conquista del Regno di Napoli e con la caduta del regime borbonico non solo fu chiusa anche questa nuova fonderia, ma decadde ogni progetto di industrializzazione del Mezzogiorno d’Italia.

A Canneto, al lato sud della chiesa, tra la fitta vegetazione, sono ancora visibili i ruderi dell’antica regia magona.

 

 

 

22. Nel 1805: una costruzione a Canneto destinata ai soldati ("in statione militum")                       Torna all'Indice

 

Il 9 giugno 1800 il vescovo di Sora Mons. Colaianni, nell’ambito della sua visita pastorale a Settefrati, si recava di persona a Canneto. Il documento, che ricorda il sopralluogo, contiene brevi annotazioni sulla chiesa, che già conosciamo dalle ultime visite pastorali qui riferite.

In quanto all’interno del tempio il presule ingiungeva di ritinteggiarlo di bianco e di riparare il pavimento.

Nella susseguente S. Visita del 25 settembre 1805 a Settefrati il medesimo vescovo, per Canneto, delegava il suo convisitatore d. Ignazio Carnevale, il quale si recò sul posto insieme all’arciprete d. Celestino Vitti e l’abate d. Aniceto Venturini di Settefrati. Il convisitatore nella sua relazione dava mandato, tra l’altro, di "chiudere le finestre aperte nel posto di guardia e di riaprire gli archi che erano stati chiusi".

Mi chiedo dove, nelle vicinanze del santuario, potesse trovarsi questo posto di guardia ("in statione militum") "con finestre aperte da chiudersi e con archi rimurati da riaprirsi".

Si trattava evidentemente di una costruzione, diversa e separata dalla chiesa con più di qualche stanza al pianoterra, ricavata dalla chiusura degli archi e con relative finestre. Gli archi dovevano essere almeno due con volte in pietra, che fungevano da solai per almeno altre due stanze al primo piano, come avveniva ed avviene ancora per il portico antistante alla chiesa, formato appunto da archi, volte in pietra e stanze soprastanti.

Ora una costruzione del genere, che qui accertiamo per la prima volta, non poteva trovarsi che nel medesimo sito dove nel 1891-94 sorse il nuovo Ricovero dei pellegrini.

Il primitivo manufatto, che già esisteva da anni ("archi rimurati"), dovette servire al distaccamento dei soldati zappatori-minatori, addetti all’estrazione della limonite nel primo periodo di funzionamento della locale regia magona (1780-1799).

All’epoca dell’erezione del citato Ricovero (1891-94) detto manufatto dovette essere demolito, se non proprio inglobato nella nuova costruzione.

 

23. La chiesa di Canneto nei primi decenni del sec. XIX                       Torna all'Indice

 

Nel 1809 la "Cappella di S. Maria di Canneto" in Settefrati, iscritta al trasporto art. 74 del vecchio catasto della provincia di Frosinone, aveva in carico la seguente consistenza catastale:

Classe I: tomoli 86, canne 26. Classe II: tomoli 54, canne 187. Classe III: tomoli 25, canne 25. Totale: tomoli: 166, canne 28. Le terre erano ubicate in territorio di Settefrati in 43 località rurali (microtoponimi), alcune delle quali con vari appezzamenti, come Cappella e Piano (con 5 fondi) oppure Canala, Vallepecorina e Crognoli (con 4 fondi).

I toponimi sacri di S. Giorgio, Colle S. Angelo e S. Pancrazio, che figurano tra le suddette località rurali, erano sopravvivenze di nomi di antichissime chiese della campagna settefratese: la prima, S. Giorgio, di origine alto-medioevale (881c.), dipendenza volturnense; la seconda, S. Angelo (1137), cella benedettina cassinese del Basso Medioevo, e la terza, S. Pancrazio (1539), allora beneficio semplice, unito alla chiesa parrocchiale dei SS. Settefratelli.

II 13 maggio 1821, Domenica terza dopo Pasqua, il vescovo di Sora dell’epoca, Mons. Lucibello, effettuava la sua visita pastorale a Settefrati. Nell’ambito di questa sua venuta nel paese non mancò di visitare anche l’alpestre santuario della Vergine. Però non risulta chiaramente se vi si recò di persona o delegò a questo scopo il suo convisitatore.

Nel decreto di sacra visita, in riferimento a Canneto vengono annotati i consueti rilievi sulla distanza del tempio da Settefrati centro, sull’appartenenza del relativo beneficio al seminario di Sora e sull’obbligo, da parte di questo pio istituto, della manutenzione della chiesa.

Alcuni anni dopo, alla data del 18 marzo 1830, nel "Polsario riguardante i beni appartenenti al Seminario di Sora 1675-1733", conservato nell’archivio del pio istituto, è trascritto l’ultimo atto notarile di locazione triennale delle terre di Canneto prima dell’incameramento del 1877.

In quel giorno le proprietà venivano affittate all’arciprete d. Tommaso Vitti, d. Severino Vitti e Michele de Vecchis di Settefrati, i quali dovevano corrispondere annualmente al seminario 205 tomoli di grano ed altri 5 per la confezione delle panicelle, che venivano distribuite al santuario nei giorni della festa.

Il seminario a sua volta, era tenuto, come sempre, a curare la manutenzione del sacro edificio, il culto divino e la suppellettile: obblighi, che il pio istituto mantenne anche dopo la confisca dei beni di Canneto fino ai nostri giorni. Le terre suddette erano localizzate in gran parte nel territorio di Settefrati, ma anche in quelli di Picinisco, Gallinaro e S. Donato V.C.

 

24. La prima notizia storica dei 5 giorni della festa (18-22 agosto 1831)                       Torna all'Indice

 

Ne rinveniamo un breve, ma significativo accenno nel già citato manoscritto (1831) di Serafino Orlando di Picinisco, che era medico degli operai della ferriera di Canneto nel suo primo periodo di attività.

Alle sorgenti del Melfa, si legge nel documento, vi è un’antica chiesa con una Madonna nera, uso orientale, dove accorrono migliaia di fedeli tra il 18 e il 22 agosto.

Da questa laconica, ma importante testimonianza scritta deduciamo che il pellegrinaggio a Canneto in occasione della festa della Madonna del 22 agosto era notevolmente cresciuto al punto che non bastavano più due giorni, quelli della vigilia e della festa, finora conosciuti, per soddisfare le esigenze spirituali della massa dei devoti che vi confluivano, ma ne occorrevano altri e questi non potevano essere che quelli precedenti. Fu così che le tradizionali celebrazioni mariane del ferragosto, già in uso da alcuni secoli, si vennero attestando su cinque giorni di festa, dal 18 al 22 agosto, come avviene ancora nella nostra epoca.

Nel 1831 tale consuetudine, come consta dal suddetto manoscritto, era già acquisita e di lì a poco più di due decenni verrà consolidata dall’uso di portare in processione, la mattina del 18 agosto, da Settefrati a Canneto, l’immagine della Madonna bianca (ma dello stesso titolo di quella bruna), che è in dotazione dell’arcipretura e di riportarla in paese il 22 agosto a sera.

 

25. Viaggio di un inglese a "Nostra Signora di Canneto" nell’agosto 1846                       Torna all'Indice

II diario, di cui do solo un breve ragguaglio, è tratto da un "Frammento del viaggio di un inglese nel Regno di Napoli", che fu pubblicato nel 1846 nel secondo numero di "Poliorama pittoresco" della detta città.

L’anonimo protagonista parla in prima persona, descrivendo ogni particolare dei luoghi, che visita, e dei personaggi storici, che rievoca, con proprietà di immagini e di linguaggio e con una padronanza dei testi letterari latini tali da rivelarsi un vero umanista e un forbito scrittore.

"Il viaggio d’un inglese nel Regno di Napoli", di cui quello a Canneto era solo una parte, un "frammento", rientrava, a mio avviso, nello spirito più genuino del romanticismo inglese dell’epoca, contrassegnato dall’insoddisfazione del presente e dal bisogno di allontanarsi dalla realtà circostante.

Figura emblematica di quest’ansia romantica di evadere era, nel mondo culturale inglese, proprio George Byron, il poeta che il nostro anonimo viaggiatore afferma di prediligere.

Il viaggio iniziò da Roma il 18 agosto. L’illustre visitatore prese la via del Lazio Sud, dirigendosi verso Casamari, dove pervenne nella tarda mattinata e vi sostò per tutta la giornata, ospite di quei buoni Padri. Il luogo gli richiamava alla memoria le gesta di Caio Mario, nativo, come il grande Cicerone, di quelle contrade, divenute perciò celebri.

Il giorno seguente, riprendendo di buon mattino il viaggio, si fermava prima ad ammirare le famose cascate di Isola, che per la loro imponenza il suo amico Byron avrebbe definito un "inferno d’acqua", poi perveniva nella località di S. Domenico, dove decideva di fare sosta.

Qui alla confluenza del Fibreno con il Liri l’anonimo turista, con l’ausilio del II libro "De legibus", che portava con sé, sperava di poter trovare le vestigia della villa natale di Cicerone, ma con sua grande delusione constatò che di questo celebre monumento dell’antichità non restava alcuna traccia.

Mentre si trovava in un luogo così insigne e sacro, sentì risuonare nel silenzio i canti di numerose compagnie di pellegrini, che provenivano dal vicino Stato della Chiesa e che, come venne a sapere da una persona anziana da lui interrogata, erano dirette al "famoso santuario della nostra Signora di Canneto", distante dieci miglia da lì, la cui festa si celebrava tra due giorni.

A quella lieta notizia egli non seppe resistere al desiderio di visitare quella veneranda chiesa. Perciò, pernottato a Sora, città volsca, la mattina del 20 agosto era di nuovo in cammino.

Transitò prima nelle vicinanze del Lago del Fibreno con "le sue isole galleggianti" e le sue acque ricche di squisiti carpioni, quindi attraversò la bella pianura di S. Maria del Campo, sulla quale dominava dall’alto la città di Alvito, ed intorno a mezzogiorno rasentava "i confini di Settefrati, patria del cassinese Alberico, il cui sogno vogliono che servisse di prima idea alle opere immortali dell’Alighieri".

La terza tappa del viaggio era a Picinisco, dove l’anonimo turista giunse all’imbrunire. Qui egli rimase ammirato dalla bellezza dei luoghi, dal carattere mite degli uomini e dal portamento modesto delle donne. A sera fu ospite di una delle famiglie del paese. Lo stesso capo-famiglia si offrì gentilmente a fargli da guida il giorno seguente per il santuario di Canneto e per una escursione al monte Meta.

All’alba del 21 agosto il nostro visitatore insieme alla sua guida iniziava l’ultima parte del suo viaggio in questa regione. Era il tratto certamente più duro ed impegnativo del suo itinerario nel Sud, a causa delle molteplici e svariate asperità dei monti.

La mulattiera, che in quell’epoca da Picinisco centro portava a Canneto, prima scendeva agevolmente tra fitte boscaglie verso le sponde del Melfa in direzione di Ponte Lanfranco, poi, qui giunta, iniziava a salire sempre più ripida e scoscesa lungo il fiume fino al santuario.

Al detto ponte il pellegrino-scrittore incrociò e si unì alle numerose compagnie di pellegrini, che allora provenivano direttamente dalle pianure cominesi sottostanti, risalendo nel fondo-valle tutto il corso del Melfa, senza passare e sostare nel paese, come avviene oggi.

"Ponte Lanfranco": è questo il vero nome del piccolo ponte, posto sul Melfa a NE di Picinisco, e non "Ponte Lebranche", come si scrive anche sulle carte geografiche ufficiali (F.o IGMI, 160, I, NE Villa Latina).

A Canneto l’illustre forestiero trovò aria di grande vigilia.Tutto era infinitamente bello e suggestivo: l’ampio ed assolato pianoro, coronato di alti monti ed irrigato dal Melfa, la chiesa, le compagnie in arrivo, i pellegrini vestiti nei costumi più vari, la gente sparsa in ogni dove, le baracche di frasca costruite in quei giorni, i fuochi che fumigavano qua e là nella valle.

"Lo spettacolo gli faceva tornare in mente una di quelle feste dell’antica Grecia, destinate a ricordare ai popoli di lontane regioni la loro comune origine". Così avveniva in quei giorni a Canneto, per ricordare a tutti di avere un Padre comune, che sta nei cieli, e una medesima Madre, che è la Vergine Bruna, venerata lassù.

Nella sua visita alla chiesa l’esimio personaggio si esprime in questi termini: "Il santuario in quell’ora era visitato dai pellegrini. Io vi entrai tra la folla per vedere l’oggetto del loro culto, il quale era un’antica statua della Vergine: semplice appariva la struttura del tempio, ma le mura vedevansi ricoperte dei voti dei fedeli: i divini offizi che allora vi si celebravano risvegliavano negli spettatori la più commovente devozione".

II giorno seguente alle prime luci dell’alba il nostro ospite, sempre in compagnia della sua guida, dopo aver trascorso la notte in una capanna di pastori, si trovava, come in un nuovo "Olimpo", sul monte Meta a godersi l’incomparabile spettacolo della visione dei due mari italiani, il Tirreno e l’Adriatico: il Meta, la prestigiosa vetta, dove (sono sue parole) "l’aquila, che al dire del suo Byron, cavalca le nubi, volava in quel giorno ai suoi piedi". Un’immagine bellissima di quella cima, che non ha l’eguale!

 

26. La chiesa e gli ex voto di Canneto nel 1846. Il "sogno" di fra Alberico da Settefrati                        Torna all'Indice

Nel suo diario or ora esposto in sintesi, l’anonimo turista inglese, tra i particolari che egli mette in luce nell’ultima parte del suo viaggio in Val Comino faceva cenno a tre temi che ci interessano direttamente: la chiesa, gli ex voto del santuario e il "sogno" di fra Alberico da Settefrati.

La chiesa. Al suo interno aveva una "struttura semplice", cioè dal punto di vista architettonico e decorativo non evidenziava alcunché di caratteristico, che potesse richiamare l’attenzione dell’illustre visitatore.

Essa era ancora quella del ‘500, restaurata ed ampliata dal preposito spagnolo d. Federico de Mamlion e che è stata ripetutamente descritta nei precedenti Bollettini di Canneto: il nartece antistante con tre archi, all’interno tre navate (le due laterali piccole e basse a motivo delle stanze soprastanti), il transetto formato da un’aula grande, e la cappella della Madonna.

L’unico punto di richiamo e motivo di interesse, che in quella mattinata del 21 agosto suscitava negli animi dei pellegrini presenti nella chiesa un forte fascino e una "commovente devozione", erano l’"antica statua della Vergine" e i "divini uffizi", che vi si celebravano.

La vera novità nella "struttura" del sacro edificio, che doveva destare la meraviglia e il plauso non solo dei pellegrini delle feste di agosto, ma di tutti i devoti della Madonna Bruna sparsi dovunque nelle nostre regioni, sarebbe avvenuta in quegli anni immediatamente susseguenti al 1846 con i lavori di consolidamento e di abbellimento della chiesa. Era il terzo restauro storico, che finora conosciamo, del quale ovviamente tratterò in seguito.

Gli ex voto. L’anonimo pellegrino-scrittore, dopo il suo ingresso nella chiesa di Canneto, laconicamente annotava che "le mura vedevansi coperte dei voti dei fedeli". È questa, in ordine di tempo, la prima citazione storica dell’esistenza di una raccolta di oggetti votivi nella chiesa di S. Maria di Canneto.

Una notizia, che ho ricercato assiduamente da sempre, sopratutto nelle fonti storiche più appropriate e qualificate, quali sono quelle dell’archivio storico diocesano di Sora, ma che ho rinvenuta, qualche anno fa, solo e per la prima volta nel "Frammento del viaggio d’un inglese nel Regno di Napoli".

È una annotazione molto tardiva rispetto alla storia plurisecolare del santuario di Canneto (siamo nel 1846), tuttavia essa appare assai importante e significativa, perché ci rivela una nuova forma o espressione della pietà mariana del nostro popolo, dopo quelle del pellegrinaggio, delle grandi donazioni terriere e delle offerte in denaro e in natura per i restauri della chiesa, che si erano manifestate ripetutamente nei secoli passati e che già conosciamo; tali nuove forme o espressioni erano i doni-ricordo, che i devoti lasciavano in perpetuo alla Vergine.

Gli ex voto del 1846 erano veri attestati di riconoscenza e di devozione alla Madonna Bruna per grazie ricevute nelle varie circostanze, tristi e liete, della vita, frutto della sua potente intercessione presso il suo Figlio misericordioso. Erano mute preghiere di umili offerenti, che si innalzavano continuamente alla Vergine per implorare protezione e sostegno.

Gran parte di quei donativi sono giunti a noi; difatti fino al 1951-57, epoca dei nuovi restauri e dell’ultimo prolungamento del santuario, ne era tappezzata tutta la parete nord del transetto. Erano soprattutto cuori d’argento, che però con il passare del tempo avevano perduto la loro brillantezza originale, ma conservavano intatto il loro valore simbolico di attestati di riconoscenza a Maria.

Nella preziosa raccolta figuravano anche apparecchi ortopedici in gesso o in metallo e una decina di pregiate tavolette, raffiguranti episodi miracolosi edificanti, le quali ora vengono custodite a parte.

L’odierna raccolta di ex voto nel santuario, rispetto a quella del 1846, è cresciuta a dismisura, in numero e in qualità, ed è esposta in un ampio locale della cripta della nuova chiesa, il quale appare ormai insufficiente a contenere tutta la svariata gamma del materiale votivo. Si tratta di miriadi di quadri, foto, vestiti, piccoli lavori artigianali, iscrizioni e dediche.

Ma, nonostante tanta dovizia e varietà di oggetti, il loro significato fondamentale e primordiale non è diverso da quello delle raccolte di ex voto dei tempi passati. Infatti quell’insieme eterogeneo di doni-ricordo costituiscono, oggi come ieri, una corale e perenne testimonianza d’amore alla Madonna Bruna.

Il "sogno" di fra Alberico da Settefrati. L’anonimo viaggiatore, venendo in visita in Val Comino, da persona dotta e nutrita di cultura classica qual era, ci da la gradita sorpresa di essere a conoscenza anche di tale "sogno".

Con un rapido accenno egli ci ricorda il fatto prodigioso, realmente accaduto a Settefrati intorno al 1120, che ebbe una vasta risonanza in Italia e in Europa, soprattutto negli ambienti monastici, grazie anche all’abbazia di Montecassino, che diede veste letteraria al racconto albericiano ed ampio spazio nel più famoso codice dell’archicenobio: il "Chronicon" cassinese (IV 66).

II "sogno", meglio conosciuto sotto il titolo di "Visione di Alberico", attesa tale risonanza, non dovette sfuggire all’attenzione di Dante Alighieri, che anzi, come risulta da non pochi indizi, l’ebbe presente nella composizione del divino poema.

Il fatto è assai noto e pertanto mi limito a darne qui una breve sintesi, anche perché all’argomento e ad alcune questioni connesse ho dedicato quasi un intero capitolo nella mia pubblicazione su "Settefrati nel Medioevo di Val Comino" (1994, pp. 129-143), alla quale rimando cortesemente il gentile lettore che volesse ottenere maggiori informazioni sul tema.

Questa in breve la vicenda. All’età di 10 anni, come riferisce il "Chronicon" cassinese, un fanciullo di nome Alberico, nativo di Settefrati, figlio di un nobile cavaliere del luogo, fu colto da un grave malore, che ben presto lo ridusse in fin di vita. Rimasto in coma 9 giorni, egli ebbe in sogno una visione, nella quale vide e percorse i tre regni dell’oltretomba sotto la guida dell’apostolo Pietro.

Ritornato in sé e guarito prodigiosamente, a seguito di quanto aveva visto, specie al ricordo terrificante delle pene dell’Inferno, decise di lasciare il mondo e di prendere l’abito benedettino. Entrato nel monastero di Montecassino, vi condusse una vita così austera da confermare con l’esempio delle sue virtù la veridicità di quanto aveva visto.

La sua "Visione", che a grandi linee ha la stessa trama della Divina Commedia ed è ad essa anteriore di quasi due secoli, viste le diverse somiglianze tra l’una e l’altra nelle varie specie dei dannati, nella natura delle pene e in tante similitudini, dovette essere una delle fonti più autorevoli a cui il Divino Poeta s’ispirò nel trattare la materia del suo capolavoro.

Una splendida pubblicazione su Alberico da Settefrati.

Il nuovo libro su "Alberico da Settefrati e la sua visione predantesca", scritto dalla prof.ssa M. Antonietta Cedrone, anche lei nativa di Settefrati e presentato il 20 agosto 2006 (a 160 anni esatti –lo stesso giorno e mese– dal passaggio del viaggiatore inglese nelle nostre contrade: una felice coincidenza!) ci offre la rara occasione di approfondire il "sogno" di Alberico, di interpretarlo nella chiave giusta e di meditare di più sulle verità eterne.

 

 

27. I restauri della Chiesa nel 1853. L’Epigrafe del vecchio portale (1857).                       Torna all'Indice

 

Nel 1854 su "Poliorama pittoresco" (vol. XV, pp. 106-107), edito a Napoli, nella rubrica "Cose patrie" veniva pubblicato un articolo di anonimo autore dal titolo: "La Festa di Nostra Signora di Canneto dal 18 al 22 agosto 1853".

Lo scrittore, che per sincera modestia voleva rimanere incognito, ma che per la conoscenza precisa che aveva dei luoghi e delle persone qui menzionate, nonché per la devozione profonda che nutriva verso la Madre di Dio, non riusciva a mimetizzarsi del tutto, doveva essere ovviamente un colto e fervente cittadino di Settefrati e per giunta uno dei più credenti e praticanti del capoluogo.

L’autore iniziava il suo pezzo letterario col ricordare che la chiesa di S. Maria di Canneto si trovava nel territorio di Settefrati, un paese assai conosciuto per aver dato i natali a fra Alberico, monaco cassinese, poi passava a descrivere le bellezze della valle di Canneto, quindi accennava alla chiesa restaurata e alla nuova campanella istallata sul santuario, dono di re Ferdinando II, che con i suoi rintocchi festosi rallegrava tutta la valle, infine indugiava ad illustrare i due momenti più salienti della festa: l’arrivo dei pellegrini a Canneto e il ritorno della processione a Settefrati.

Parlando della chiesa della Vergine, l’anonimo articolista testualmente affermava: "Quel Tempio per l’innanzi corroso dalle ingiurie delle nevi e degli aquiloni, ora restaurato per le solerti cure di quel Vicario Curato D.L. Venturini, appare bello e maestoso con bell’ordine di pilastri e di archi a tre navi; ma uno de’ più vaghi suoi ornamenti è una piccola campana, attestato di devozione alla Vergine del cuore religioso dell’augusto nostro sovrano, che ivi accogliesi tra le benedizioni per le sue munificenze nel far rivivere in que’ luoghi le antiche miniere di ferro".

Da queste brevi indicazioni deduciamo che:

1) Nel 1853 i restauri del tempio di Canneto erano già avvenuti e completati e pertanto d’ora in poi sarà questa la nuova data storica di quegli importanti lavori di riattamento e non quella del 1857, che leggiamo sull’architrave del vecchio portale in pietra, ora ricomposto e conservato nella cripta del santuario, come si era ritenuto fino ad oggi. Il 1857 è più esattamente la data del portale e della sua posa in opera, non del restauro;

2) Fino al 1853 la chiesa di Canneto, come risulta dalle brevi relazioni delle sacre visite dei vescovi di Sora, qui riportate in testo o in sintesi, era rimasta strutturalmente quella restaurata ed ampliata dall’abate preposito spagnolo d. Federico de Manlion (...1530-1535): le tre navate (le due laterali più piccole e basse) con l’aggiunta della crociera nella chiesa e di varie stanzette al primo piano.

Questi importanti lavori, effettuati intorno alla metà del sec. XIX, devono considerarsi i terzi grandi restauri storici del santuario. Essi consistettero in opere sia di consolidamento, sia di abbellimento: nuovi pilastri, archi, volte in pietra, cupoletta ovale centrale, cornicioni e decorazioni in stucco, come meglio risulterà dalla relazione del 4 maggio 1874 dell’abate Loreto Terenzio di Settefrati in risposta al questionario di sacra visita del vescovo De Niquesa di Sora.

Pertanto i tre grandi restauri in parola ebbero luogo nelle seguenti epoche: nel 1475, nel 1530-1535 e nel 1853-1857;

3) La chiesa di S. Maria di Canneto, pur se dipendente amministrativamente, fin dal giugno 1569, dal seminario di Sora, il quale doveva provvedere in proprio alla sua manutenzione e a tutto l’occorrente per il decoro del tempio, sia perché essa ricadeva nella giurisdizione ecclesiastica e territoriale di Settefrati, sia per la sua vicinanza al paese, era officiata dal clero locale, in particolare dall’arciprete di S. Stefano, che aveva anche il titolo di vicario curato di Canneto.

In quegli anni era arciprete e vicario curato d. Lorenzo Venturini, il quale, preoccupato del pericoloso deteriorarsi delle strutture generali dell’antico tempio a causa soprattutto degli agenti atmosferici (piogge, nevi e venti), con il benestare e l’incitamento della direzione del seminario di Sora, prese la coraggiosa iniziativa del restauro della chiesa.

Il suo impegno, la sua tenacia e i suoi sacrifici, uniti come sempre a quelli del grande e generoso popolo dei devoti di Canneto, furono coronati da successo. Nel 1853 il nuovo santuario splendeva "bello e maestoso" davanti agli occhi di tutti.

Alcuni anni dopo la sua morte, avvenuta a Settefrati il 29 agosto 1877, i resti mortali del pio e zelante arciprete, a motivo del suo lungo servizio al santuario, furono traslati ed inumati nella stessa chiesa di Canneto, come ricordava una bella lapide marmorea in latino, posta al lato sinistro della crociera ed ivi rimasta fino al 1978, quando ebbero inizio le opere di ristrutturazione generale del sacro edificio;

4) Ma, per la verità storica, l’arciprete d. Lorenzo Venturini, pur essendo promotore e il coordinatore del restauro del 1853, non ne fu l’unico artefice. Difatti l’epigrafe in latino del 1857 del vecchio portale menziona altri due protagonisti di quel grande evento: il popolo di Settefrati e il re di Napoli Ferdinando II.

L’iscrizione tradotta in italiano così recita: "Questo tempio, che da secoli, come si tramanda, è dedicato alla Madre di Dio, a motivo dei miracoli ivi compiuti, minacciando ormai rovina a causa della sua vetustà, fu ricostruito, così come si può vedere, grazie alla devozione del popolo di Settefrati e alla munificenza del nostro piissimo re Ferdinando II. Anno del Signore 1857".

Il popolo di Settefrati contribuì all’opera, prestando le sue giornate lavorative, sia a livello di comune manualanza, anche femminile (trasportatrici di pietre), sia a livello di mastri muratori per i vari lavori, che il restauro richiedeva.

Il pio sovrano, officiato, pare, direttamente dall’eremita dell’epoca, Marianna Ferrante, che si recò personalmente a Napoli, volle essere presente alla grande opera con una sua sovvenzione di 300 ducati e, come già notato, con l’invio in dono di una campanella, fusa nella regia magona di Napoli e trasportata a sue spese a Canneto.

Ma il re Ferdinando II fu particolarmente sensibile e munifico non solo verso il santuario di Canneto, ma anche verso la sua rinomata valle, perché nel 1852, cioè in quegli stessi anni del restauro della chiesa di Maria Vergine, dal suo real governo, attraverso accurate indagini scientifiche condotte nella zona da esperti, fece riprendere in esame la possibilità di uno sfruttamento più razionale e proficuo dei giacimenti limonitici della valle, riattivando l’antica ferriera di Canneto.

A tale scopo furono inviati in questo nostro distretto minerario l’ing.re Gaetano Tenore e il capitano d’artiglieria Melluso, vennero migliorate le vie di accesso alla valle ed accanto alle vecchie mura di detta ferriera furono creati altri locali per depositi vari. A tale epoca (1856-1860) risale appunto la costruzione della strada Bivio-Settefrati centro, a tutt’oggi trafficatissima per l’accesso al santuario di Canneto.

Ma gli avvenimenti politici e patriottici del 1860, che, come si è già riferito nel Bollettino n. 9 (pp. 26-27), portarono alla fine rovinosa del regime borbonico, fecero decadere ogni progetto di industrializzazione del Mezzogiorno d’Italia e di conseguenza ogni idea e programma di riattivare la regia magona di Canneto, i cui ruderi sono ancora visibili tra la fitta vegetazione, al lato sud della chiesa;

5) Anche il seminario di Sora, nonostante le sue particolari ristrettezze economiche in cui versava, contribuì alle spese generali del restauro con una consistente somma di ducati 258.50, rispettando in tal modo i suoi secolari doveri morali verso il santuario, derivanti dall’essere, fin dal lontano 1569, il principale beneficiario di tutte le sue rendite. Esse, come si sa, per averlo detto più volte negli articoli precedenti, servivano al sostentamento dei suoi alunni, i futuri sacerdoti della diocesi, e alle altre ricorrenti necessità del pio istituto.

A tale proposito il vescovo dell’epoca Mons. Montieri diede incarico a d. Luigi Ferri, abate-parroco dell’insigne collegiata di S. Lorenzo di Picinisco, di redigere un "memorandum" sull’obbligo che aveva il seminario di Sora di far fronte con mezzi propri agli urgenti lavori di restauro della chiesa di Canneto.

Il solerte abate stese un elaborato pro-memoria in cui illustrò "il dovere che stringeva il Seminario Sorano, il quale si godeva (?) la vistosa rendita del povero spogliato Santuario, di sostenere la spesa del restauro e chiedeva che si fossero obbligati i riluttanti amministratori del Seminario allo sborso di Ducati 258,50".

Attese le ragioni addotte dall’ecclesiastico di Picinisco, il vescovo diede mandato all’amministrazione del seminario di erogare la somma richiesta in favore della chiesa di Canneto. La relazione è riportata dal Lauri nella sua monografia storica: "Settefrati ed il Santuario di Canneto nella leggenda e nella storia (1910) (pp. 26-27);

6) Però anima e cuore di tutto il movimento del 1853 per il restaurando tempio fu l’eremita Ferrante, che si portò di paese in paese a sensibilizzare tutti i devoti della Madonna, raccogliendo ogni sorta di offerte (derrate, denari e donativi in oro) per consolidare ed abbellire la chiesa di Maria SS.ma.

Lo desumiamo anche da una rude iscrizione che lei incise di propria mano sull’architrave della finestra centrale dell’antica facciata, rinvenuta nel 1924 dal Marsella, che diceva così: "Gran Tempio fatto di elemosine da me devota Eromita (sic!) Marianna Ferrante".

La pia donna era nata a Settefrati nel 1786 ed ivi il 5 maggio 1876, a 90 anni esatti di età, mentre era ancora eremita di Canneto, chiuse i suoi giorni. L’anno preciso in cui fu chiamata a questo delicato ed arduo incarico non risulta.

Nel 1853 era sicuramente eremita e lo era ancora nel 1874, quando l’abate Terenzio di Settefrati, nella sua già citata relazione al vescovo, scriveva di lei in termini edificanti: "È donna di ottima vita, di zelo ardente verso la Vergine SS.ma e di amore ripiena per Lei che a niun seconda. Ha raccolto dai devoti delle Vergine moltissimi donativi in oro ed ha fornito quella Chiesa di sacri arredi".

 

28. Nel 1855 Mons. Montieri riduceva a due le parrocchie di Settefrati e prendeva iniziative per una comunità religiosa in paese anche per l’assistenza agli operai della ferriera di Canneto.                       Torna all'Indice

 

Fino alla metà del sec. XIX le parrocchie di Settefrati erano quattro: S. Stefano con il titolo di arcipretura, i SS. Sette Fratelli, S. Maria della Tribuna e S. Nicola, rispettivamente con i titoli di abbazia.

Le relative chiese erano situate tutte nel capoluogo in uno spazio ristretto di poco più di un centinaio di metri quadrati e renderle agibili tutte e quattro con interventi periodici di carattere strutturale costituiva per ciascun parroco un problema, che diveniva sempre più difficile risolvere a mano a mano che, a causa soprattutto di epidemie e carestie, diminuivano la popolazione e i redditi di ogni parrocchia.

Due di dette chiese, i SS. Sette Fratelli e S. Nicola, erano staticamente più fragili delle altre al punto che per lungo tempo e non una sola volta furono soltanto una rovina.

Tale situazione si verificò fin da tempi remoti e perciò i tre abati, con il consenso del vescovo e d’intesa con l’arciprete, decisero di funzionare tutti nella sola chiesa di S. Stefano, dove però ciascun abate curava i propri fedeli. S’imponeva pertanto un riassetto generale delle 4 parrocchie.

Fu così che Mons. Montieri con decreto del 7 novembre 1855 ridusse a due le parrocchie di Settefrati, aggregando S. Nicola a S. Stefano e i SS. Sette Fratelli a S. Maria della Tribuna, sotto l’unico titolo dei SS. Sette Fratelli, titolari e protettori del paese. Parimenti divise in due tutto il territorio comunale con una linea ideale che partiva dalle sorgenti del Melfa, toccava la reale ferriera e si immetteva sulla via per Settefrati, seguendo in tutto il suo tracciato ed assegnò la parte superiore del viottolo all’arcipretura e la parte inferiore alla nuova abbazia.

Così pure, giusta la documentazione posteriore esistente ancora nell’archivio parrocchiale di Settefrati, nel capoluogo all’arcipretura furono attribuiti: la parte superiore del Cornicione, Murorotto, Fossaceca, Campo di fiori, Porta S. Domenico e Colle, mentre all’abbazia andarono: la parte inferiore del Cornicione, Murorotto, la Porta, Camporeale, Porta Pignatara, Campo di fiori, Porta S. Domenico e Colle.

Nelle zone rurali all’una toccarono: Canala, Vito, S. Pancrazio, Ripagalassa fin sotto la mola Palmerino Marrazza, ultimo confine, mentre all’altra: Canala, Lota, Virgilio, Soda Larga, S. Martino, Massarella e Perilli.

Circa l’appartenenza della chiesa di Canneto all’una o all’altra parrocchia il decreto del Montieri non diceva nulla di specifico, ma tutto lasciava nel vago e ciò ovviamente dava subito adito alla contestazione, per cui da parte di alcuni fedeli si sosteneva che il santuario rientrava nel territorio della nuova parrocchia.

Ne sentiamo un’eco anche nella relazione del 1874 al vescovo dell’arciprete d. Lorenzo Venturini, il quale al contrario asseriva che detta chiesa era stata sempre una dipendenza dell’arcipretura e pertanto tale doveva restare pure per il futuro, anche perché qui si custodiva la statua dell’omonima Madonna, che si portava il 18-22 agosto a Canneto e faceva capo il clero, che l’accompagnava in quei giorni al santuario e che riceveva dall’arciprete una parte delle intenzioni di SS. Messe colà raccolte.

Ma le polemiche e le contestazioni a questo riguardo non erano destinate a spegnersi, perché ogni tanto nell’avvenire si sarebbero rinfocolate.

Però l’interesse di Mons. Montieri per Settefrati non si limitò a questo saggio provvedimento di carattere amministrativo, ma nell’ottobre 1858 si volse anche a creare, attigua alla chiesa della Madonna delle Grazie, una struttura, che potesse accogliere una comunità religiosa, atta ad occuparsi del bene spirituale di quella popolazione. La costruzione esisteva già, ma bisognava migliorarla.

La detta chiesa possedeva una rendita annua di 300 ducati, che era amministrata da una "Congregazione laicale dipendente dal Consiglio degli Ospizi". Il vescovo, allo scopo dì poter utilizzare la somma per la realizzazione del suo progetto alla Madonna delle Grazie, chiese ed ottenne ben presto il nulla osta del re, anche perché quella comunità religiosa poteva servire all’assistenza spirituale dei "molti operai o soldati addetti alla magona di Canneto", che di giorno in giorno stava per rientrare in funzione, dopo una lunga pausa di oltre mezzo secolo di inattività.

A tal fine il vescovo prese contatto con diversi istituti religiosi. Dopo vari tentativi la proposta fu favorevolmente accettata dagli Agostiniani della Riforma, detta di S. Giovanni a Carbonara di Napoli, ma dopo qualche tempo essi mutarono parere.

Ma il presule, persistendo nel suo proposito di aprire una casa religiosa a Settefrati, costituì una commissione che amministrasse le rendite della chiesa della Madonna delle Grazie, impiegandole totalmente alla costruzione e sistemazione dei locali annessi a detta chiesa; il che avvenne fino al 1861, epoca non più propizia per queste iniziative dello zelante pastore.

In quell’anno difatti il povero vescovo era fuggiasco da Sora, braccato come un nemico dai Piemontesi giunti nella città, perché, all’entrata delle truppe garibaldine a Napoli nel settembre 1860, non volle consentire il canto del "Te Deum" nelle chiese della diocesi.

Egli riparò prima a Casamari e a Veroli, poi a Ferentino e infine a Roma, dove nel novembre 1862, povero e solo, chiudeva i suoi giorni.

 

29. Il brigantaggio sulle montagne di Canneto (1861-1870)                       Torna all'Indice

 

Solo pochi accenni, poiché l’argomento non tocca direttamente il tema della presente ricerca ed anche perché il brigantaggio del periodo post-unitario nel Mezzogiorno d’Italia, al quale si ricollega quello delle montagne di Canneto, è un argomento divenuto di attualità, in quanto il fenomeno è oggi ampiamente studiato in convegni e in club culturali ed è quindi ben conosciuto, sia nelle sue cause remote e prossime, sia nelle sue varie fasi di sviluppo, ed inoltre è "onorato" da pubblicazioni anche di notevole valore critico-storico.

Le montagne di Canneto, aduse per secoli al silenzio e care alla fede, per ben nove anni, dal 1861 al 1870, risuonarono delle efferate gesta di formazioni organizzate di malviventi e soprattutto del capo-brigante Domenico Fuoco e della sua sanguinaria banda.

Tra gli anfratti e i dirupi delle balze del Meta e delle Mainarde quelle masnade di fuorilegge trovarono sicuri nascondigli, dove mettevano a punto i loro perversi piani d’azione e sorvegliavano le mosse delle Forze dell’Ordine, messe sulle loro tracce, riuscendo in alcuni conflitti a fuoco ad avere la meglio o nel peggiore dei casi a dileguarsi nel nulla.

Di lì partivano le loro imprese di sangue: rapine, sequestri, ricatti, estorsioni, omicidi e rappresaglie contro famiglie e centri abitati dei tre versanti montani: laziale, abruzzese e campano. Tali formazioni furono per vari anni un costante pericolo e terrore per le nostre valli.

Il banditismo trovò un valido appoggio soprattutto nei Borboni, che si erano rifugiati a Roma, i quali per quasi due anni fornirono denari e uomini alle brigate ribelli nella prospettiva di farne un esercito legittimista, che li rinsediasse sul trono di Napoli.

Verso i fuorilegge in ogni paese non mancarono simpatizzanti, manutengoli, ricettatori ed anche cittadini, che accorsero ad ingrossare le file delle bande armate, i cui nomi e cognomi oggi si conoscono bene per essere stati resi noti in più di qualche pubblicazione. D’altronde la vita di briganti, a confronto con quella misera e stentata del povero contadino meridionale, si presentava ricca di attrattive. Molti nutrivano la segreta speranza di tentare il colpo di fortuna per cambiare posizione sociale.

Il governo unitario, che vide nel brigantaggio una grave minaccia all’unità della nazione da poco raggiunta, intervenne contro le bande ribelli con largo spiegamento di forze (soldati, carabinieri e guardie nazionali) e con ogni mezzo di repressione. La lotta contro il banditismo fu lunga e difficile con perdite notevoli anche tra le file dei reparti militari del nuovo Stato.

Ma poi, svanita a poco a poco la speranza di una restaurazione borbonica e di un successo finale della guerriglia, le squadre brigantesche, sempre più isolate sui monti nei loro nascondigli, decimate dai continui scontri con le forze repressive o dalle ripetute defezioni dei loro adepti, tradite dai manutengoli e dagli infiltrati, non ebbero altra alternativa che quella di consegnarsi volontariamente alla giustizia, come fecero alcuni capi e centinaia di malviventi, oppure quella della lotta ad oltranza fino alla morte, come decisero Domenico Fuoco e la sua banda.

Questi ultimi fuorilegge, che tenevano i loro covi sui monti del Meta (oggi se ne conosce con esattezza anche l’ubicazione: si tratta di una caverna sotterranea in territorio di Picinisco), spadroneggiarono ancora per vari anni nella zona, compiendo ogni sorta di misfatti fino al 17 agosto 1870 a notte, quando, colti da un sonno profondo a seguito di un eccessivo stato di ubriachezza, furono trucidati da tre ardimentosi contadini di Conca Casale, che in quei giorni, mentre tornavano dalla fiera di Cervaro, erano caduti prigionieri nelle loro mani.

I corpi straziati dei tre principali caporioni, prima tra tutti quello di Domenico Fuoco, stettero esposti per tre giorni a Picinisco nel Parco Montano, alla cosiddetta "Preta tonna" ("una pietra tonda" o macina da mulino), a vista della popolazione, finalmente liberata, dopo anni, dall’incubo del terrorismo e da ogni altro pericolo incombente.

Quello che meraviglia nella storia di questi malandrini delle montagne di Canneto è che essi, in tanti anni in cui stettero annidati su quelle alture, non commisero mai alcuna azione riprovevole contro la chiesa della Vergine oppure contro le persone sacre ivi addette; né tesero mai, a scopo di rapina o di ricatto, qualche imboscata alle moltitudini di pellegrini, che vi convenivano.

Anzi un 22 agosto pomeriggio, in uno degli anni del brigantaggio, anch’essi vollero rendere omaggio alla Madonna di Canneto, salutandola dalle opposte cime con una scarica di colpi a salve delle loro carabine, mentre la statua nella processione di ritorno a Settefrati usciva dal santuario.

 

30. Confisca di tutti beni della Cappella di S. Maria di Canneto e degli altri benefici della Diocesi uniti al Seminario di Sora. Il pio Istituto ridotto al lastrico.                       Torna all'Indice

 

Nel 1868, in applicazione delle leggi di incameramento del 7 luglio 1866 e del 15 agosto 1867, tutte le terre e gli altri beni appartenenti alla Cappella di S. Maria di Canneto in Settefrati, uniti fin dal giugno 1569 al seminario di Sora, venivano confiscati dal demanio dello Stato e successivamente venduti all’incanto.

Con le inique spoliazioni il pio istituto perdeva non solo il grande patrimonio fondiario di Canneto, ma anche tutti gli altri beni immobili, che esso, in tre secoli di vita e di formazione ecclesiastica, aveva ricevuto nei vari paesi a seguito di lasciti e di donazioni dei fedeli; un patrimonio immenso, che nel suo complesso costituiva la base essenziale dei redditi destinati, sia al sostentamento degli alunni, specialmente poveri e bisognosi, sia a sostegno dei corsi di studio per la preparazione dei giovani al sacerdozio.

Tutto venne requisito. Il seminario era ridotto al lastrico. La perdita era enorme ed aveva il carattere di una vera sciagura, che appariva irreparabile e provocata di proposito dai governi unitati anticlericali per spiantare per sempre l’istituzione diocesana, cara ai Padri del Tridentino.

La situazione era resa più grave e drammatica dalle angustie in cui si trovava in quegli anni la pia istituzione a causa dei soldati piemontesi, che fin dal 1861 presidiavano Sora e che avevano occupato tutto l’edificio, ragion per cui il seminario in quegli anni rimase chiuso agli alunni e ai chierici. Soltanto dopo il 1865 esso riprese a funzionare, ma solo parzialmente negli stretti e scomodi locali dell’episcopio.

La sua vita interna tornò ai ritmi normali del passato solo nel 1872, ma, a causa della grave situazione finanziaria determinatasi con le spoliazioni, l’istituto era accessibile solo agli alunni, che potevano pagare mensilmente la retta, mentre gli adolescenti poveri erano ospitati all’ultimo piano dell’episcopio (detto "il coperchione"), però frequentavano gratuitamente le scuole del seminario, ma ricevevano tutti i giorni il vitto direttamente dalle loro famiglie.

Era questa una situazione umiliante, che in circostanze normali avrebbe fatto poco onore al seminario, ma, per la ragione anzidetta, essa si era resa necessaria. Una situazione di emergenza, che durò per alcuni decenni. Più di qualche sacerdote, tra i più anziani del clero diocesano, ricorda di essere stato, nei primi anni di seminario, "al coperchione". Poi il pio istituto, sostenuto da tutta la diocesi, riprese a funzionare regolarmente senza distinzione alcuna tra alunni di famiglie benestanti e non benestanti.

 

31. La chiesa di Canneto dopo le spoliazioni del 1868. Dalla relazione del 1874 dell’arciprete d. Lorenzo Venturini di Settefrati                       Torna all'Indice

 

Con le confische del 1868 la chiesa di S. Maria di Canneto, al pari di altre chiese e conventi della diocesi di Sora, che subirono la medesima sorte dell’espropriazione dei loro beni, si trovò improvvisamente priva di ogni risorsa materiale e pertanto dovette continuare a confidare, dopo che nella provvidenza divina, esclusivamente nella generosità dei suoi devoti, che già l’avevano largamente ricompensata per aver devoluto fin dal 1569 in favore del seminario di Sora le cospicue rendite annuali del suo vasto patrimonio fondiario.

Erano offerte in denaro, in natura e in preziosi, che si ricevevano per il santuario in occasione delle feste annuali di agosto e delle raccolte stagionali del grano, delle uve e delle olive, ad opera soprattutto delle zelanti eremite di Canneto, che in tali circostanze si portavano di paese in paese a piedi o con mezzi di fortuna per raggruzzolare i prodotti della terra e i donativi del buon cuore dei devoti.

Nei secoli scorsi da queste entrate incerte ed occasionali dei fedeli sono provenuti i contributi principali per la manutenzione ordinaria e per i restauri e gli ampliamenti del tempio di Maria. Così è ancora oggi e si spera che sarà anche in futuro.

Circa la situazione, che si venne a creare nel santuario negli anni immediatamente susseguenti alla confisca dei beni di Canneto, si trovano alcuni accenni nella relazione del 1874 di d. Lorenzo Venturini, arciprete di Settefrati, al vescovo di Sora, mons. Paolo de Niquesa. Secondo quanto egli ci riferisce, le proprietà della Cappella di S .Maria, passate nelle mani del demanio, erano iscritte nel "gran libro", cioè nel "cosiddetto Debito Pubblico", però non si sapeva a quanto ammontava la loro rendita annua.

Con la perdita dei beni di Canneto, dice il d. Venturini, il seminario di Sora, privo ormai di ogni risorsa economica, era stato costretto a sospendere il duplice impegno, che aveva mantenuto per tre secoli, cioè quello di passare il vitto al clero durante i 5 giorni della festa e quello di approntare i panicelli da distribuirsi in quell’occasione ai pellegrini. Cessava anche l’uso di mantenere nel pio istituto "alcuni alunni gratis di Settefrati".

Anche se la direzione del santuario rimaneva affidata al seminario di Sora, la cura e l’amministrazione della chiesa mariana con il tempo passarono totalmente nelle mani del clero locale. Il pio istituto dal 1861 in poi ebbe i suoi impellenti e gravi problemi da risolvere e perciò il suo interessamento per il santuario diminuì notevolmente.

La Messa solenne del 22 agosto a Canneto, al culmine della festa, giusto quanto riferisce il citato relatore, veniva celebrata dall’ "Arciprete Capo e Rettore del Clero" locale. Il procuratore del capitolo di Settefrati raccoglieva le elemosine delle Messe, ivi offerte, e le distribuiva equamente a tutti i sacerdoti del luogo, che accompagnavano la statua dell’arcipretura, sia nell’andata a Canneto, sia al ritorno in paese.

Con tale stato di cose tanto nel culto quanto nelle feste della Madonna di Canneto si accentuarono ovviamente alcuni aspetti devozionali dell’arcipretura, come la processione al santuario e l’intronizzazione della statua parrocchiale sull’altare centrale della chiesa mariana, al punto da incidere sulla stessa iconografia ufficiale di Canneto mediante la sostituzione dell’immagine originale con quella della parrocchia.

Solo dopo la prima guerra mondiale (1915-1918) i vescovi di Sora ripresero decisamente l’iniziativa in favore della chiesa di Canneto per farne gradualmente un santuario a livello diocesano di risonanza inter-regionale.

 

32. La situazione edilizia e spirituale della chiesa di Canneto nella relazione del 4 maggio 1874 dell’abate Loreto Terenzio di Settefrati al vescovo di Sora                       Torna all'Indice

 

In risposta "agli articoli dell’Istruzioni per la S. Visita" del vescovo Paolo De Niquesa di Sora, d. Loreto Terenzio, abate di S. Maria della Tribuna di Settefrati, in data 4 maggio 1874 relazionava sullo stato della sua parrocchia evidenziando anche alcuni aspetti della vita del santuario nella seconda metà del sec. XIX, che credo opportuno qui riassumere con l’aggiunta di brevi commenti.

Nello scritto rinveniamo in particolare alcuni preziosi accenni alla chiesa e ai locali annessi, alla devozione verso la Madonna, al modo di entrare dei pellegrini nel tempio mariano, a due personaggi cari al santuario di Canneto: re Ferdinando II di Napoli e l’eremita Ferrante, e alle due statue della Madonna dello stesso titolo, ma di diverso colore, che nei giorni della festa si trovavano insieme al santuario esposte sugli altari.

1) La chiesa e i locali. L’edificio sacro era in tutto e nei particolari quello restaurato nel 1853-1857 a tre navate (una grande al centro e due piccole laterali) con volte in pietra, ornate a stucco e con tre rispettive porte ed uscite sotto il portico frontale del tempio. La porta centrale era più grande delle due laterali.

Aveva due altari, posti sulle pareti di fondo: l’uno di marmo al centro con due gradini in basso e in alto una "nicchia di marmo a corinto fatta e donata alla Vergine da Gregorio Bartolomucci di Picinisco", riservato alla "gloriosa statua che da Settefrati nel dì 18 agosto si porta a Canneto"; l’altro di stucco a destra con l’urna di legno di noce ben lavorata a vetro sul davanti, la quale racchiude "la statua antica che resta sempre in quella chiesa; urna fatta dai divoti di Maria SS.ma del Comune di Roccasecca e di Caprile".

Invece la nicchia dell’altare centrale, come dice la medesima relazione, era dono di Gregorio Bartolomucci di Picinisco. Ma reputo che qui debba preferirsi la versione del Marsella, che vide bene l’iscrizione latina con il nome esatto del benefattore e che recitava così: "Cristoforo Bartolomucci di Picinisco. 1693".

Insisto sull’importanza di questa epigrafe, specie sulla sua datazione, poiché, attesa la sua collocazione sulla parete di fondo, costituisce l’unica testimonianza che la crociera della chiesa nel 1693 esisteva già e che quindi il prolungamento del tempio al lato est in quell’epoca era già avvenuto.

La "piccola sagrestia con una stanzetta sovrastante ad uso cucina", a cui fa cenno la relazione, va, a mio avviso, localizzato al lato nord della chiesa, dove è stata posta sempre la sagrestia, anche nei decenni successivi fino ai nostri giorni, e dove avvenne uno dei due ampliamenti dell’edificio sacro nei susseguenti lavori di restauro degli anni 1891-94. L’altro si ebbe, come vedremo, al lato sud.

Al primo piano, sempre secondo la medesima relazione del 1874, ritroviamo le tradizionali n. 11 stanze dell’abate d. Federico de Mamlion, tre sul fronte della chiesa sopra il portico e quattro per parte sulle due navette laterali, che nei 5 giorni della festa servivano per il clero e per il personale laico addetto alla cucina e agli altri servizi della chiesa.

Esse formavano "una specie di romitorio", come dice l’abate Terenzio, dove non sempre abitava l’eremita Marianna Ferrante e che, pur se anguste e disadorne, ma tuttavia necessarie e preziose per quelle altitudini, dove non esistevano altre abitazioni, sopravviveranno fino alla ristrutturazione generale del 1978-83 del santuario;

2) La devozione alla Madonna e i pellegrini. L’amore alla Vergine di Canneto nel corso del sec. XIX aveva fatto un balzo in avanti al punto che i due antichi e tradizionali giorni della festa (il 21 e 22 agosto) non erano più sufficienti per poter far fronte alle necessità religiose delle moltitudini di pellegrini e perciò col tempo si aggiunsero gradualmente altre tre giorni di sosta e di preparazione alle celebrazioni annuali, portando a 5 i giorni delle feste (dal 18 al 22 agosto), come avviene ancora oggi.

Il motivo fondamentale di questa vigorosa crescita spirituale stava nel forte richiamo, che esercitava sulle popolazioni "la prodigiosa Statua di Maria SS.ma" e la fama che Lei "dispensa infinite grazie e le più difficili" ad ottenersi.

All’entrata in chiesa le compagnie dei fedeli si ponevano in ginocchio e così disposte procedevano lentamente fino ai piedi del trono della Madonna, dove scioglievano il loro voto ed imploravano le grazie.

I devoti, che avevano un particolare debito di gratitudine verso la Vergine, strisciavano la lingua per terra fino al suo altare. L’uso durato fino all’ultimo dopoguerra, per ovvi motivi, è oggi del tutto scomparso. Ma più di qualche compagnia di antica tradizione di Canneto ancora oggi entra in chiesa in ginocchio;

3) Il re Ferdinando II e l’eremita Marianna Ferrante. Li abbiamo già ricordati nella puntata del precedente numero del Bollettino di Canneto. Furono gli artefici principali dei restauri del 1853-57;

4) Le due statue. Inamovibilità del simulacro antico. L’una dal volto scuro in legno di tiglio con il bambino attaccato al petto, di autore ignoto, antichissima, che "restava sempre in quella chiesa" e l’altra dal volto chiaro dello scultore Petronzio da San Germano in dotazione dell’arcipretura di Settefrati, che veniva portata a Canneto nei cinque giorni della festa, durante i quali rimaneva esposta sull’altare centrale, circondata da ceri che ardevano giorno e notte.

L’una inamovibile, l’altra portatile e processionale. Il fatto che la statua antica era "restata sempre in quella chiesa" e non si era mai mossa dal luogo sacro aveva contribuito a creare il "mito" della sua inamovibilità. Ma ad onor del vero che deve sempre prevalere, anche se può dispiacere, la ragione principale di tale inamovibilità era quella che il vetusto simulacro stava fissato alla sua nicchia, completamente in legno, con un grosso chiodo a tergo, che fu ritorto quando la scultura, all’inizio del ‘700, venne rivestita di abiti serici e cambiò tipologia, cosa che avvenne anche per altre statue della nostra diocesi. Il chiodo così ritorto, quasi a prova dell’alterazione subita dall’immagine, è rimasto fino al recente restauro della preziosa scultura.

Il "mito", di cui sopra , durò fino al manzo del 1948, quando la vetusta effige di Canneto fu rimossa per la prima volta dalla sua sede originaria e condotta trionfalmente attraverso i paesi e le città delle tre diocesi e del Cassinate per la "peregrinatio Mariae".

 

 

 

33. Il piccolo organo a canne (c. 1885)                       Torna all'Indice

 

Nei documenti da me rinvenuti e qui, in questa ricerca storica, tenuti rigorosamente presenti, anche se non citati in nota, non ho trovato alcun cenno al piccolo organo a canne, esistente nella chiesa di S. Maria di Canneto sulla cantoria dell’ingresso centrale del vecchio santuario. Doveva essere abbastanza antico e perciò desidero darne qualche notizia in questa pubblicazione.

Lo ricordo bene, anche per averlo suonato più volte da chierico, studente di teologia, dal 1946 in poi, durante le feste della Madonna di Canneto (18-22 agosto), quando non c’era ancora la strada carrozzabile e il santuario si apriva solo in quei giorni.

Dal punto di vista della struttura generale (cassa armonica, canne e loro disposizione, somieri, suoni, tastiera, registri laterali, piccola pedaliera e mantice a mano) era assai simile a quello della chiesa parrocchiale di S. Michele Arcangelo di Pietrafitta, frazione di Settefrati, eretto, come dice chiaramente l’iscrizione posta sulla cantoria, nel 1885, che don Antonio Molle, parroco anche di questa chiesa, ha fatto recentemente restaurare con un riuscito intervento di opera conservativa, che lo ha riportato in tutto all’originale. Un piccolo gioiello di lavoro artigianale, tipico dell’epoca, da ammirarsi!

Sono d’avviso che il clero di Settefrati e in particolare l’arciprete di S. Stefano, che, come si è già rilevato nella puntata precedente, era anche "vicario curato di Canneto", abbiano fatto costruire in quell’epoca, se non proprio nello stesso anno (1885), ambedue gli organi a canne di Pietrafitta e di Canneto. Perciò nel titolo del presente paragrafo ho datato quest’ultimo strumento circa il 1885.

Il piccolo organo del santuario si presentava così: nella cassa armonica con due sportelli protettivi mobili sul davanti, che servivano a preservarlo da ogni agente nocivo esterno, specie dalla polvere, e che venivano aperti solo al momento di suonarlo, si allineava sui somieri una prima fila di canne, disposta in forma piramidale (la più alta al centro e le altre in ordine decrescente ai due lati); seguivano all’interno, l’una dietro l’altra, altre quattro o cinque file di canne, posizionate, in ciascuna serie, in ordine decrescente, corrispondenti ai singoli registri. Sul fondo stavano alcune canne più grosse, che fungevano da bassi; erano in legno, mentre tutte le altre risultavano di stagno scuro.

Al di sotto della prima fila di canne erano sistemati un piccolo leggio e la tastiera, composta di poco più di tre ottave di tasti; gli ultimi tasti a sinistra erano bassi, congiunti con una minuscola pedaliera. I collegamenti tra tasti, somieri e pedali avvenivano mediante un ingegnoso dispositivo di fili di ferro, di levette e molle.

A destra della tastiera erano situati i registri, assai piccoli, in metallo con pomelli di ottone ornato e posti in due file verticali (quattro e due per parti). Di tre ne ricordo anche i nomi: Principale, Voce umana e Ripieno. A sinistra dell’organo era sistemato il mantice, azionabile a mano mediante una leva di legno e in posizione verticale a causa delle ristrettezze del luogo.

Difatti la cantoria, sebbene lunga quanto la navata centrale, risultava poco larga ed era protetta verso l’interno della chiesa da una robusta ringhiera e alle spalle da un divisorio in legno, che ad altezza d’uomo era fatto a grata, consentendo dagli appartamenti attigui anche la vista del presbiterio e del trono della Madonna. Qui, nel corridoio antistante la camera di centro, si trovava la porticina d’accesso alla cantoria.

Dal 1946 in poi, i miei anni di teologia, durante i cinque giorni della festa noi chierici del seminario maggiore al suono d’organo eseguivamo nella mattinata la Messa degli Angeli o la Messa "cum iubilo" della Madonna e alla sera, nella funzione vespertina, cantavamo le litanie mariane e i mottetti eucaristici a due voci: indimenticabili composizioni di Perosi, Zimarino e Gubinelli, che già facevano parte del nostro repertorio musicale, acquisito negli anni del liceo presso il seminario minore di Sora.

Ma con l’inizio del mio rettorato di Canneto, dall’ottobre 1960 in poi, per le feste di agosto si incominciò ad utilizzare un harmonium "Tubi" portatile a cinque ottave, più dotato di potenza sonora e di altri effetti musicali, che a sua volta, pochi anni dopo, fu sostituito definitivamente da un nuovo harmonium più grande, efficiente e stabile, che è ancora in uso nella sottostante cappella di Sant’Anna del nuovo santuario.

Perciò l’antico piccolo organo di Canneto andò mano a mano in disuso e con il passare del tempo decadde del tutto. L’attuale organo del santuario, dono del sig. Giuseppe Pittiglio, oriundo di Sant’Angelo in Theodice, e dei suoi amici statunitensi, è un trionfo di suoni, di canne e di registri tra i più moderni.

 

34. Nuovo restauro ed ampliamento della chiesa. Prima del 1891                       Torna all'Indice

 

Questo è in ordine di tempo e di documentazione il quarto restauro storico del santuario di Canneto, che veniamo a conoscere. Ci lasciamo guidare anche questa volta da un’iscrizione e da due foto dell’epoca, oltre che da una conoscenza diretta e dettagliata delle strutture in oggetto.

1) Iscrizione del 1894

Si trovava murata nel portone centrale della vecchia foresteria, demolita nel 1978 per far posto alla nuova costruzione più moderna e funzionale, che sorge oggi accanto al nuovo santuario. L’iscrizione, che fu tolta con cura e messa da parte, cadde inavvertitamente tra il materiale di demolizione e di sterro, che le pale meccaniche caricavano e trasportavano alla discarica e pertanto si è irrimediabilmente perduta. Era un prezioso documento! Meno male che l’avevo già pubblicata "ad litteram" nel volume "Il santuario di Canneto" … (1969, p. 280), da cui ora la desumo.

Essa diceva così: "Con l’obolo / raccolto dai fedeli / restaurato ed ingrandito il tempio / Agnese Massarella / eremita del Santuario / a ricovero / dei devoti visitatori / di Maria SS.ma di Canneto / questo edifizio / incominciato nell’anno 1891 / recava a termine nell’anno 1894".

Pertanto in quegli anni, giusta il senso dell’epigrafe, nel santuario di Canneto ebbero luogo due grossi interventi edilizi in due periodi successivi: nel primo, antecedente al 1891, furono realizzati lavori di restauro e di ampliamento della chiesa; nel secondo, dal 1891 al 1894, attiguo al tempio della Vergine, venne costruito il nuovo "ricovero dei devoti visitatori di Maria SS.ma di Canneto", detto più comunemente "Ricovero dei pellegrini" o foresteria.

Protagonista ed anima delle nuove realizzazioni, e questa volta da sola, fu l’eremita di Canneto Agnese Massarella (1826-1910) di Settefrati, succeduta in questo servizio presso il santuario a Marianna Ferrante (1786-1876), anche lei di Settefrati, deceduta il 5 maggio 1876. Ambedue, anime elette e timorate di Dio.

La Massarella, sull’esempio della Ferrante ed animata da non minore zelo e tenace volontà di lei di rendere sempre più bello e accogliente la casa della Madonna, munita solo della cassettina delle offerte con l’effigie della Vergine Bruna, che abitualmente teneva al braccio con un archetto di metallo sovrapposto, tipica delle eremite di Canneto, peregrinò di paese in paese, e non solo per un anno, per raccogliere presso i devoti sparsi dovunque gli aiuti in natura, in denaro e in preziosi, necessari ai lavori, che lei, con il benestare del clero di Settefrati, specie del suo arciprete, aveva in animo di realizzare.

Ma quella volta, come mai era accaduto nel passato, la chiesa di S. Maria di Canneto, a causa della confisca di tutti i suoi beni, subita nell’ottobre del 1877, aveva assoluto bisogno di un soccorso straordinario del popolo devoto. La risposta dei fedeli all’appello portato di casa in casa dall’eremita con umiltà e semplicità, ma con la forza delle sue convinzioni, che vincono ogni dubbio e resistenza, attese le opere eseguite, indicate dall’epigrafe, e le ingenti spese che ovviamente dovette affrontare, fu più generosa e solidale che mai.

L’iscrizione del 1894 qui citata parla distintamente del restauro e dell’ampliamento della chiesa, avvenuti prima del 1891, quando ebbe inizio la costruzione del ricovero dei pellegrini. I primi lavori relativi al restauro dovettero rendersi necessari anche per i gravi danni sofferti dall’edificio sacro in conseguenza del sisma del 12 luglio 1873, che colpì particolarmente Val Comino.

Per i lavori, certamente più consistenti ed impegnativi, riguardanti l’ampliamento del santuario, ci faranno da guida due rare e preziose foto dell’epoca e, come detto, una conoscenza particolareggiata dei luoghi e dei nuovi ambienti costruiti.

2) Due antiche foto della chiesa di Canneto (fine sec. XIX ed inizio sec. XX): il nuovo portico e le nuove stanze soprastanti, costruiti prima del 1891.

a) Lato sud-ovest della chiesa (foto n. 1)

Questa foto fu scattata qualche anno dopo il 1894, quando venne ultimato il ricovero dei pellegrini o foresteria, che appare parzialmente a destra dell’immagine. (A ridosso dei due ultimi archi laterali della chiesa è visibile un deposito di pietre squadrate, non ancora rimosse, che servivano alle due costruzioni del tempio e della foresteria).

Essa ritrae nelle sue strutture esterne il santuario, totalmente rinnovato, uscito dai lavori di restauro e di ampliamento di quegli anni. Il complesso appare in tutto il suo splendore e nel suo armonioso disegno. Un’opera notevole per quei tempi, che, rispetto ai restauri del 1853-1857 (i terzi restauri storici di Canneto), segnava un grande passo avanti nel progetto, sempre antico e nuovo che sta costantemente a cuore a quella direzione, di rendere il santuario in ogni epoca più bello, più accogliente e funzionale.

La foto fu scattata in uno dei giorni delle feste di agosto nel punto giusto per avere la migliore inquadratura del nuovo sacro complesso. Essa ritrae il nuovo prospetto, il lato sud, il tetto della chiesa con in basso la casetta dell’eremita e parte del lato ovest del nuovo ricovero dei pellegrini, inoltre la folla, che nei tipici costumi dell’epoca fa ressa ai tre ingressi del tempio. In primo piano emergono i grossi massi e le rocce, che alla fine del sec. XIX ingombravano ancora il piazzale antistante.

Sul lato della facciata sono chiaramente visibili i due nuovi archi, aggiunti uno per parte ai tre antichi archi centrali, e le corrispondenti due nuove finestre soprastanti, che portavano a cinque le stanze poste sul prospetto. Le cinque finestre di allora sono rimaste anche nell’odierno prospetto. I due archi aggiunti non intercomunicavano con quelli centrali, ovviamente per non indebolire i muri perimetrali della vecchia chiesa con l’abbattimento dei rispettivi diaframmi.

In alto sono parimenti visibili il vecchio e il nuovo timpano, il comignolo della cucina e il piccolo campanile con la campanella donata dal re Ferdinando II, che con l’ampliamento della chiesa veniva sistemato all’estremo angolo sud-ovest della nuova struttura. Il nuovo portico costruito al lato sud, come risulta bene dalla foto in oggetto, aveva tre arcate intercomunicanti e serviva per la sosta dei pellegrini e per riparo di fortuna in caso di intemperie. Nell’ultimo arco a destra, attiguo alla casetta dell’eremita, fu costruita una nuova scalinata in pietra a due rampe, l’una esterna con la porta e l’altra interna, che saliva al primo piano dei locali annessi alla chiesa.

Qui, di rimpetto alle vecchie stanzette edificate nel ’500 dal proposito don Federico de Mamlion, furono fabbricati cinque nuovi vani: una stanza per cucina, tre camerette e un pianerottolo. Delle cinque finestre, che si vedono sul nuovo portico del lato sud, la prima, posta sotto il campanile, apparteneva alla cucina, le tre susseguenti alle rispettive camerette e la quinta dava luce al pianerottolo, che era munito per due lati di una robusta ringhiera di ferro, posta a protezione sulla scalinata d’accesso dall’esterno.

In fondo alla foto proposta, in alto, si staglia nettamente la struttura della crociera della chiesa con uno dei suoi finestroni laterali.

b) Lato nord-est della chiesa (foto n. 2)

L’istantanea risale all’inizio del sec. XX. È una splendida inquadratura del santuario restaurato ed ampliato prima del 1891 e della nuova foresteria, ripresi ambedue al lato nord-est. La foto, scattata al di qua del fiume Melfa, che a quell’epoca, come per secoli, attraversava tutto il pianoro, ritrae uno dei giorni delle feste di agosto con la baraccopoli sorta intorno alla chiesa e sciami di pellegrini, sparsi lungo il pendio del poggio o che si immergono con i piedi fino alle ginocchia nelle acque gelide della corrente per riti penitenziali e propiziatori, che intorno alla metà del secolo scorso sono scomparsi.

L’ampliamento della chiesa al lato nord comprendeva un piano terra con volte ed archi in pietra e un primo piano, al quale si accedeva mediante una scalinata interna a più rampe in pietra. Il piano terra era costituito da un solo ampio locale con un finestrone al centro e con un doppio accesso: dall’interno della chiesa e dal piazzale. L’ingresso esterno più esattamente si trovava sotto il nuovo arco della facciata, situato all’angolo nord-ovest e indicato dalla lunetta (vedi foto n. 2). La nuova stanza, che era sorta a ridosso nella navetta sinistra della chiesa e che risultava una delle più belle e più spaziose, fu subito adibita a sacrestia e a sede straordinaria delle confessioni-uomini nei giorni di maggior affollamento delle feste.

Nel primo piano, giusta la suddetta foto, si aprivano sei nuove finestre: le due prime (da sinistra) illuminavano la scalinata e il pianerottolo; le altre due corrispondevano a singole camerette; la quinta dava luce al corridoio interposto tra le camerette della facciata e la cantoria; la sesta era un piccolo bagno. Tutte e sei le finestre sono rimaste invariate, ciascuna con la medesima funzione, fino al 1978, anno della demolizione del vecchio santuario.

Per sistemare il locale-sacrestia vennero rimurate le tre finestrelle basse , che per secoli avevano dato luce ed aria alla navetta sinistra della chiesa, la quale per tale ragione divenne buia e alquanto tetra. Da quel lato, all’interno del santuario, se ne vedevano ancora, in alto, i tre incavi, che sono rimasti lì a ricordare fino al 1978.le mura perimetrali della primitiva chiesa di Canneto

 

 

Per conformità architettonica dovettero essere rimurate, con le medesime conseguenze di mancanza di luce sufficiente, anche le corrispondenti tre finestrelle della navetta destra, a ridosso della quale, all’esterno del lato sud della chiesa, era sorto il nuovo portico per la sosta dei pellegrini con le soprastanti nuove camerette del primo piano. Nell’unico incavo della primitiva chiesa, che era rimasto da questa parte nell’interno del santuario, restò esposto per decenni la colonnina ex voto di Mefite con la sottostante iscrizione, che ne ricordava l’antico culto nella Valle di Canneto.

La nuova sacrestia era dotata di un monumentale ed artistico armadio in noce sormontato da uno stipo dello stesso legno e stile, che ambedue servivano rispettivamente per la vestizione dei ministri e per la conservazione dei paramenti e degli arredi sacri. Il magnifico mobile esiste ancora nella sacrestia dell’attuale santuario.

La scalinata in pietra, che dall’interno della chiesa o dalla sacrestia portava al primo piano, era formata da quindici scalini: due all’inizio con la porta, poi, convergendo a sinistra, altre tre con un piccolo pianerottolo ed ancora a sinistra altri dieci, che terminavano in alto con un pianerottolo più grande, dal quale, attraverso una delle finestre qui poste si godeva un meraviglioso panorama della Valle; finestra, oggi rimpiazzata da un balconcino aggettante, che spazia in una visuale più ampia e suggestiva.

La crociera della chiesa, che appare nella foto n. 2, era quella medesima dei secoli passati, che risultava completamente restaurata, sia nelle pareti esterne, sia nella sua copertura. Al lato nord sono visibili due finestroni che davano luce alla chiesa, ai quali corrispondevano nel lato opposto altri due finestroni uguali e paralleli. Restando nella parte nord della chiesa, proposta dalla medesima foto n. 2, ai piedi della risega dei due muri perimetrali si scorge una piccola tettoia, che copriva un’uscita laterale del santuario a doppia porta, l’una, interna e l’altra, esterna, le quali si aprivano solo nelle ore di maggiore affollamento.

Al lato est della chiesa (a sinistra della foto) appaiono tre lunette, che si trovavano in alto nella parete di fondo del tempio: quella di centro sovrastava l’altare maggiore; una laterale si trovava sull’altare della cappella della Madonna, a destra di chi entrava in chiesa.

 

35. Il ricovero dei pellegrini o foresteria (1891-1894)                       Torna all'Indice

 

Se ne vedono in ambo le foto esaminate due buoni scorci: l’uno ad ovest (foto n. 1) e l’altro ad est, anche se in lontananza (foto n. 2). La costruzione si presentava esternamente come una elegante palazzina, armoniosa e rifinita in ogni sua parte.

Fu una grande realizzazione dell’epoca, sia come edificio, poiché tutto costruito in pietra locale: mura perimetrali, cornicioni, volte, archi, telai di porte e finestre, davanzali; sia per la sua specifica funzione, quella dell’accoglienza dei pellegrini. L’opera, come recitava l’iscrizione posta sul portale principale, fu eretta dal 1891 al 1894 per iniziativa ed interessamento dell’eremita Agnese Massarella di Settefrati con l’obolo dei devoti.

Poiché il manufatto è rimasto sostanzialmente immutato dal suo originario impianto fino al giorno del suo abbattimento (1978) per dare spazio a un edificio più solido, più moderno e funzionale, non mi è difficile descriverlo, anche "ad perennem rei memoriam" e riconoscenza.

Era una strurrura molto semplice nel suo disegno generale, ma ben costruita ed efficiente. Il suo prospetto principale era posizionato al lato nord con tre ingressi al piano terra: uno al centro con all’interno una scalinata in pietra, che portava al primo piano, e due laterali, che davano accesso a due ampi locali, uno per parte, muniti di piccole finestre. Aveva un primo piano costituito da quattro stanze, due per parte, tutte provviste di regolari finestre, un magnifico cornicione in pietra porosa lavorata, che faceva da cordolo di coronamento a tutto lo stabile e una ben solida tettoia a due spioventi con coppi tradizionali.

I due locali al piano terra avevano ingressi propri, a destra e a sinistra del portone di centro, con stipiti e portali in pietra, simmetricamente uguali: erano stanze fatte a volte e ad archi in pietra, con piccole finestre, munite di inferriata e disposte sui quattro lati del fabbricato, tutte riquadrate in pietra, leggermente arcuate in alto ed uguali. L’ingresso principale aveva un portale in pietra arcuato, sul quale, come si è rilevato più volte, campeggiava l’iscrizione-ricordo già esaminata. All’entrata si trovava subito la scalinata ad unica rampa e senza ringhiera di ferro, che portava alle stanze di sopra e in fondo al locale erano posti due piccoli bagni rudimentali. Tutto il vano era rischiarato da luce naturale, proveniente dalla finestra centrale del primo piano.

Qui da un piccolo pianerottolo si accedeva alle quattro camere, due per parte, l’una interna all’altra senza corridoio di disimpegno, provvedute di finestre regolari, anche queste, disposte sui quattro lati dello stabile, tutte riquadrate in pietra, leggermente arcuate in alto e simmetricamente uguali. La costruzione al lato est aveva anche un piccolo seminterrato ad uso forno.

Il ricovero dei pellegrini per quasi un secolo ha risposto in pieno allo scopo per cui fu costruito, dando ricetto ai devoti della Madonna nei giorni della festa e, negli altri periodi dell’anno, offrendo ospitalità quasi sempre gratuita a vari gruppi di persone: aspiranti salesiani, seminaristi, soci di organizzazioni cattoliche o di ispirazione cristiana, carbonai ed operai delle imprese edili e boschive, che hanno lavorato nella zona prima e dopo l’ultimo conflitto mondiale.

Poi, deterioratosi nelle sue strutture generali per cause varie e venendo meno la sua capacità recettiva, dal 1978 in poi, come si è già notato, con la realizzazione di un nuovo progetto più idoneo alle esigenze attuali del luogo, il vecchio ricovero fu sostituito totalmente da un altro edificio più moderno, più ospitale ed efficiente.

Ma la vera peculiarità di questo nuovo stabile sta nel fatto che, costruito in un sito completamente separato ed indipendente dalla struttura del tempio mariano, abbia potuto accogliere tutti i servizi logistici del santuario (dormitori, bagni, cucina, mensa, guardaroba e posti di soggiorno), i quali per secoli erano sistemati a ridosso della chiesa, condizionandone pesantemente l’ampliamento, lo sviluppo e la stessa funzionalità.

 

 

36 La "voce" della stampa nella seconda meta del sec. XIX: appare il popolare inno alla Madonna di Canneto (1874).     Torna all'Indice

 

Un'elegia alla Vergine (1883).

Solo brevi accenni, per la stessa ragione gia espressa nelle puntate precedenti, che cioe’ il paragrafo non rientra propriamente nel tema della presente ricerca. Tuttavia nell'articolo apparso nell'ottobre 1894 su "II S. Benedetto" di Montecassino, e qui sintetizzato al n. 4, emergono delle indicazioni relative alia chiesa di Canneto, che credo opportune cogliere e sottolineare.

Nella seconda meta del sec. XIX il nome della Madonna Bruna e della sua incantata valle ricorreva non solo sulle labbra di migliaia e migliaia di pellegrini, provenienti dalle varie province dell'Italia centro-meridionale, ma risuonava anche sulle pubblicazioni e sulle riviste famose, come "II S. Benedetto" e "La Civilta Cattolica".

1)     Nel 1869 Aniceto Venturini di Settefrati dava alle stampe un suo opuscolo dal titolo: "Un pellegrinaggio al Santuario di Nostra Donna del Canneto ovvero i cinque giorni della sua festa" (Sora 1869).
L'autore, seguendo la processione della Madonna dell'arcipretura, che il 18 agosto sale a Canneto e il 22 a sera fa ritorno a Settefrati in un trionfo di fuochi pirotecnici, di luci e di folle, descrive ad uno ad uno i cinque giorni della festa;

2)  Alcuni anni dopo (1874) il Venturini scriveva il popolare inno alla Madonna di Canneto: "Sui balzi in Canneto comparve Maria...", intitolandolo: "A Nostra Donna del Canneto". Sono 18 strofette col ritornello di quattro versi senari ciacuna, ispirate a due temi principali, cari alla pieta popolare: 1'apparizione della Madonna alia pastorella, secondo la leggenda, sorta storicamente proprio in quell'epoca, e le
glorie di Maria.

Rime limpide e fluide, come le acque del Melfa, che solo un cuore nutrito di affetto nativo verso la Madonna Bruna, com'era appunto il suo autore, poteva comporre. Canneto ad Aniceto Venturini aveva gia’ ispirato altre liriche, come "L'apparizione" e "La boscaiola della Valle di Canneto".

A 135 anni dalla sua composizione 1'inno "A Nostra Donna del Canneto" e divenuto uno dei canti mariani piu popolari e diffusi in tutto il centro-sud d'ltalia, capace, per la semplicita’ sia del testo letterario sia della musica, facilmente orecchiabile, di fondere in un unico immenso coro folle ingenti di pellegrini;

3)  "Elegia alia Madonna di Canneto" ("In Virginem Canneti elegia"), datata il 18 agosto 1883 e composta in 17 distici latini dal prof. d. Antonio Papa, canonico della chiesa parrocchiale di S. Maria e S. Marcello di S. Donato V.C. Le innumerevoli folle di pellegrini, che nei giorni della festa salgono esultanti per impervi sentieri sull'alto Canneto, i loro canti religiosi, i monti e le selve d'intorno, i fiori, gli
uccelli, le limpide sorgenti del Melfa, 1'apparizione della Madonna alla pastorella e gli ex voto della chiesa gli ispirano i piu’ nobili e delicati sentimenti verso la SS.ma Vergine.

II bellissimo carme mariano, una delle perle letterarie del santuario di Canneto, nel 1998, ai nostri giorni,e stato tradotto, commentato e pubblicato dal prof. Luigi Gulia di Sora (L. gulia, Laetantes ibimus omnes..., "Studi in memoriadi Carlo Valeri,Ferentino 1998", pp. 273-277);

4)  "La Chiesa di Canneto nelle feste del 21 e 22 agosto 1894: gli ex voto e le grazie della Madonna" (da "II S. Benedetto", ottobre 1894, periodico di Montecassino).

E una relazione intorno alle feste di agosto 1894, scritta da un monaco benedettino inglese, Padre Beda, ospite in quell'anno dell'abbazia di Montecassino, il quale, sentendo risuonare i canti della Madonna di Canneto, volle essere presente di persona alla grande manifestazione di fede in onore della Vergine Bruna; relazione che nell'ottobre susseguente venne pubblicata su "II S. Benedetto", periodico dell'abbazia.

L'illustre visitatore descrive con precisione e a vivaci colori 1'arrivo dei pellegrini il 21 agosto nella valle di Canneto, il loro procedere in lunghe processioni con il Crocifisso in testa, verso il santuario, al canto dell'Evviva Maria o delle litanie lauretane a cori alternati; il modo di vestire delle varie compagnie; il loro ingresso nella chiesa in ginoc-chio; la lunga attesa intorno ai confessionali; poi il loro accamparsi nel pianoro, lungo le rive del Melfa, compiendovi antichi riti penitenziali; quindi i falo e i canti nella notte e infine, al primo mattino del 22 agosto, la loro commossa partenza dal santuario.

Per quanto riguarda in particolare la chiesa leggiamo: "La chiesa, che e assai grande, 1'ospizio attiguo, le vie, i boschi, le valli rigurgitano di fedeli devoti... In mezzo ai ceri accesi, sopra 1'altare maggiore, e collocata la statua della Vergine. Appena che i devoti quivi giungono, simile ad un muggito del mare, echeggia fragoroso nelle volte del tempio un grido di "Viva Maria". Quindi tutti si rizzano in piedi e vanno verso la navata destra, dove trovasi l’antica statua di legno nero, risplendente d'oro e di pietre preziose.

"Le muraglie attorno sono tutte ricoperte di ex voti... La folla di pellegrini che si accalca attorno a questa statua e tanta che stare in ginocchio sarebbe lo stesso che volersi far schiacciare; percio’ tutti erano ritti e stretti gli uni addosso agli altri, stringendosi ed urtandosi per poter accostarsi all'altare, luogo dove propriamente avvengono miracoli.

"In quel giorno avvennero due guarigioni portentose, delle quali una mentre io mi trovavo in Chiesa. Un fanciullo di dieci anni muto dalla nascita, parlo gridando: «Grazie, Maria». Da ogni parte, in mezzo alle lagrime di commozione, scoppio un fragoroso applauso e piu’ lieto che mai di nuovo risuono pel tempio il canto di «Viva Maria». Ometto altri particolari sulla festa.

L'articolista inglese ci offre una magnifica visuale di Canneto e delle varie manifestazioni di fede. Al centro di tutto stava la chiesa e il vicino ospizio, gremiti di gente. Sull'altare maggiore troneggiava la Madonna del paese, che veniva portata in processione al santuario e dopo alcuni giorni di sosta riportata in parrocchia. A destra si trovava la cappella della Madonna nera, dinanzi alia quale sostava in preghiera una moltitudine immensa di pellegrini.

Le pareti della chiesa erano tutte tappezzate di ex voto, vere testimonianze di riconoscenza alla Vergine e di grazie ricevute. Quell'anno presso 1'altare della Madonna si erano verificate due gua­rigioni rniracolose. Ad una di esse fu presente anche il Padre Beda, che ne fa menzione nel suo articolo;

5) "Una meraviglia di Santuario nei boschi" (1897)

E questo il titolo di un articolo uscito su "La Civilta Cattolica" del 21 giugno 1897 (pp. 638-640). E ancora un diario delle feste di Canneto

ovviamente dell'anno precedente, scritto su un rapporto orale di un testimone oculare. Sono tre pagine nitide, scorrevoli, ricche di colorito e di diffuso stupore dinanzi al sacro spettacolo che da secoli si ripe-te ogni anno sui monti di Canneto.

Lo scrittore inizia con una puntualizzazione storica e geografica del santuario, affermando che "Tra i grandi e molti santuari di Maria in Italia e assai notevole quello di Canneto, in provincia di Caserta, benche’ poco noto nell'Alta Italia". Segue la descrizione dei luoghi: la valle, le boscaglie, il fiume e quindi della festa vera e propria, che a grandi linee gia conosciamo.

II 22 agosto di quell'anno, come apprendiamo dall'articolo, a conclusione delle feste di Canneto, che come sempre coincidono con il solenne ritorno della statua parrocchiale a Settefrati, d. Loreto Terenzio, parroco del luogo, indirizzava al S. Padre il seguente telegramma: "Un popolo di oltre 60.000 persone e di molte province, riunito ai piedi della Vergine di Canneto, colla piu’ profonda pieta e con 1'avita fede saluta il Vicario di Cristo e ne implora la benedizione".

L'Augusto Pontefice, accogliendo il filiale omaggio, si congratulava con tutti per tanta fede ed inviava al clero e ai fedeli 1'implorata apostolica benedizione.

 

37 Nell'agosto del 1903 il vescovo di Sora mons. Antonio lannotta fu presente a Canneto durante le feste della Madonna.       Torna all'Indice

 

Lavori di riparazione alia chiesa. Fu  un vero avvenimento. Era la prima volta, secondo anche queste mie ultime ricerche storiche, che un vescovo di Sora, cavalcando per mulattiere irte e sassose tra selve e balze scoscese, saliva di persona al santuario di Canneto e per giunta nel ferragosto, durante le tradizionali feste della Madonna. Nei secoli passati i vescovi sorani, trovandosi in sacra visita a Settefrati, avevano di volta in volta delegate i loro con-visitatori a recarsi alia chiesa di Canneto e a redigere una relazione scritta della loro visita.

In quell'epoca il presule non era piu giovane; difatti aveva 56 anni di eta ed era al secondo anno del suo episcopato sorano. II suo pellegrinaggio a Canneto rientrava nell'ambito della sua prima sacra visita alle parrocchie di Settefrati, che aveva programmata di compiere proprio in quei giorni del ferragosto.

II 18 agosto nel primo pomeriggio, come ci riferiscono gli Atti della sacra visita, insieme con il canonico cancelliere vescovile e il suo segretario particolare egli partiva alla volta di Settefrati, dove verso sera veniva accolto dall'arciprete d. Gaetano Vitti, dall'abate d. Enrico De Vecchis, da altri chierici e da gran popolo. Entrato nella chiesa madre di S. Stefano, parlo alla comunita’ ed imparti la benedizione con la pisside.

Nella relazione seguono alcune notizie sulla storia della chiesa di Canneto che noi conosciamo con maggiore esattezza grazie ai vari documenti originali rigorosamente consultati e qui tenuti presenti, come la sua appartenenza un giorno, dal 1288 al 1569, all'abbazia di Montecassino, il suo cospicuo patrimonio fondiario, che il vescovo di Sora Gigli trasferi’  al seminario per il sostentamento economico del pio istituto ed infine la confisca di tutti i suoi beni che furono venduti all'incanto.

Di fronte a quelle moltitudini osannanti, che in quei giorni di agosto, partendo dai paesi piu lontani e diversi, confluivano a Canneto in un susseguirsi ininterrotto di processioni sempre piu’ numerose e piu’ folte, il vescovo senti’l il suo animo traboccare di gioia e di immensa benevolenza verso quelle folle di credenti.

Per i giorni della festa 1'arciprete Vitti, al fine di avere un valido aiuto nell'assistenza religiosa ai pellegrini, specie nell’amministrazione del Sacramento della penitenza, aveva chiarnato quattro Padri Gesuiti: P. Lazzarini, P. Fabri, P. Roccis e P. Rosati con molti altri sacerdoti. Anche il vescovo con il suo cancelliere e il suo segretario prestarono ben volentieri la loro opera nell'ascolto delle confessioni e nella distribuzione della SS.ma Eucaristia.

Mosso e commosso da quella sterminata moltitudine, che bramava tanto riconciliarsi con Dio, il presule formulo’  il proposito di chiedere alla S. Sede la concessione di un'indulgenza plenaria alia chiesa di Canneto per tutti coloro che con le dovute disposizioni 1'avessero visitata in futuro, cosi come era avvenuto nel passato anche il piu remoto.

Nella relazione si rinvengono altre notizie di cui alcune utili anche alla presente ricerca. Difatti vi si conferma che 1'antico simulacro della Madonna si trovava a destra ("al lato dell'epistola dell'altare maggio­re") di chi entrava ed era oggetto di grande pieta’ da parte dei fedeli. La Vergine invocate con il titolo di Madonna di Canneto elergiva moltissime grazie, come testimoniavano gli ex voto appesi sulle pareti.

Molti altri ex voto d'oro e d'argento ricoprivano totalmente la veste dell'immagine ed affinche’ tali preziosi non rimanessero in balia di chiunque, il vescovo dava mandato all'arciprete Gaetano Vitti e al sacerdote d. Vincenzo Terenzio di Settefrati di inventariare e descrivere singolarmente detti oggetti, facendone una dettagliata relazione alia curia vescovile.

Riguardo al simulacro della Vergine la relazione fa rilevare che 1'immagine in origine era di color nero, ma in seguito per maldestri restauri divenne di color bruno ("Simulacrum B.mae Virginis olim coloris nigri, modo ob restaurationem male peractam colorem habet fuscum").

In merito alle cose da farsi quanto prima, il vescovo ordinava di restaurare 1'altare maggiore, che aveva bisogno di molte riparazioni, specie vicino al tabernacolo; di costruire "ex novo" 1'altare laterale della Madonna; di completare i lavori delle due navate laterali e di provvedere dei paramenti piu decenti per il servizio divino.

Infine per quanto concerneva il culto e le sacre funzioni nella chiesa di Canneto tutto rimaneva affidato alla responsabilita’ dell'arciprete Vitti, ma "sotto 1'assoluta dipendenza del vescovo" ("sub absoluta dependentia Episcopi").

Passati i cinque giorni della festa, il vescovo mons. lannotta, accompagnato dal suo cancelliere e dal suo segretario particolare, tornava a Settefrati, dove al mattino del 23 agosto proseguiva la sacra visita alle chiese parrocchiali e non parrocchiali del paese: S. Stefano, S. Maria della Tribuna, S. Felicita e la Madonna delle Grazie.

Alcune annotazioni

Rileviamo innanzitutto come grazie alla relazione o decreto di questa sacra visita alle parrocchie di Settefrati, conservato presso l’Archivio storico diocesano, veniamo a conoscere alcune importanti notizie storiche del santuario all'inizio del sec. XX.

In primo luogo riceviamo la conferma di quanto riferiva nell'ottobre 1894 "II S. Benedetto", periodico di Montecassino, che cioe’ la cappella della Madonna era posta in fondo a destra della chiesa; che 1'antico simulacro era rivestito ed appariva tutto ricoperto di oggetti d'oro e d'argento e che le pareti all'intorno erano tappezzate di ex voto, segni di riconoscenza e di grazie ricevute dalla Vergine. Poi si hanno le notizie inedite che seguono.

La statua lignea della Madonna in origine era di color nero, ma poi a causa di inesperti restauri ha assunto una colorazione scura o bruna. Per espresse disposizioni del vescovo visitatore 1'altare maggiore andava debitamente restaurato, mentre 1'altare laterale, proprio della Vergine, che evidenziava uno stato di avanzata decadenza, doveva essere ricostruito totalmente; un impegno questo che 1'eremita Agnese Massarella di Canneto, come ci risultera dal paragrafo seguente, volle assumere in prima persona e portarlo generosamente a compimento, raccogliendo numerose e generose offerte tra i devoti.

Le due navate laterali da completare, a mio avviso, dovevano essere i due nuovi locali, che, come si e’ riferito ampiamente nella puntata precedente, erano stati costruiti intorno agli anni '90 ai lati opposti della chiesa per ampliarla, i quali nei due primi decenni del sec. XX, adeguatamente sistemati, sarebbero diventati rispettivamente sagrestia, a nord, e penitenzieria-donne a sud.

Infine la conferma dell'arciprete Gaetano Vitti a responsabile del culto e delle altre funzioni nel santuario con la postilla di "sotto 1'assoluta dipendenza del vescovo", stava, a mio parere, a significare che da allora in poi ogni iniziativa di rilievo ed ogni lavoro di restauro della chiesa di S. Maria di Canneto dovevano essere programmati ed eseguiti d'intesa e con il benestare del vescovo diocesano.

Difatti fino a quell'epoca il clero di Settefrati, in particolare 1'arciprete, nella cui parrocchia si trova collocato il santuario, nonche’ le eremite, pur avendo realizzato insieme opere imponenti, come 1'ampliamento della chiesa e la costruzione del ricovero dei pellegrini, avevano agito troppo autonomamente, quasi ignorando 1'autorita’ diocesana, che in effetti non risulta coinvolta ne interpellata in nessuno dei documenti qui esaminati.

Con tale riserva mons. lannotta intendeva far sentire maggiormente la sua presenza e la sua autorita’ nella gestione del santuario e ne aveva tutte le ragioni, dal momento che la chiesa di S. Maria di Canneto era divenuta un centro di spiritualita mariana di primo ordine e di grande risonanza interregionale, come lui stesso aveva potuto constatare di persona nelle feste di agosto del 1903, vedendo ed incontrando migliaia e migliaia di pellegrini confluiti dalle varie province.

Prova di questa accresciuta sollecitudine ed impegno da parte del

vescovo e della diocesi per lo sviluppo spirituale e materiale del santuario, oltre quella di eseguire quanto prima le opere prescritte su indi­cate, era 1'obbligo imposto all'arciprete Vitti e a d. Vincenzo Terenzio di inventariare gli oggetti d'oro e d'argento della statua della Madonna e di presentarne una relazione esatta alia curia vescovile ("ad Curiam rationem exactam ferrent"). In seguito 1'arciprete dovra esibire ogni anno al medesimo ufficio un dettagliato resoconto spirituale e finanziario delle feste di Canneto. La prima relazione del genere con calligrafia e firma del detto arciprete, che si rinviene presso 1' Archivio storico diocesano, giusta le mie attuali ricerche, porta la data del 15 settembre 1912.

 

38 II nuovo altare alla Madonna (1909): un ricordo dell'eremita Agnese Massarella.                      Torna all'Indice

 

Nel 1909, nella cappella della Madonna, situata in fondo alla navata laterale destra, grazie ancora una volta all'intraprendenza dell'infaticabile eremita Agnese Massarella, veniva realizzato un nuovo altare alla Vergine di Canneto, tutto risplendente di marmo con varie decorazioni policrome e con due gruppi di tre gai angioletti a rilievo finemente scolpiti intorno al tabernacolo.

Ce lo ricordava una breve e semplice epigrafe, che e rimasta murata in uno dei pilastri centrali vicini al presbiterio fino all’inizio dei lavori di ristrutturazione del santuario nel 1978 e che recitava, cosi: "Nuovo altare ad opera dell'eremita Agnese Massarella. 1909". Un disegno e una realizzazione di veri artisti!

Con questa magnifica e preziosa opera, oltre a rendere un omaggio d'amore e di riconoscenza a Maria SS.ma, si dava compimento anche a una delle disposizioni vescovili della sacra visita del 1903, che prima di essere un'imposizione di mons. lannotta era un suo vivissimo desiderio, innamorato qual era della Madre di Dio; disposizione che faceva obbligo agli amministratori del santuario di innalzare alia Regina delle nostre valli un nuovo altare, degno del suo augustissimo nome.

Nei lavori di prolungamento del 1951-1957, che, come si riferira in seguito, diedero all'antica chiesa di Canneto una nuova abside con la cappella e il trono della Madonna non piu' a lato, ma nella navata centrale in posizione dominante, tale altare venne accuratamente smontato e qui ricomposto, acquistando nella prospettiva generate della nuova opera un maggior rilievo e valenza artistica.

Ma, dopo la ristrutturazione totale del santuario, non potendo piu’ in alcun modo essere riutilizzato nella nuova chiesa di stile moderno, esso venne donato all'arcipretura di S. Stefano di Settefrati, nella quale ancora oggi si puo ammirare. Difatti e situate nella cappella del SS.mo Sacramento o del S. Cuore di Gesu, dove tante volte in questi ultimi anni anch'io ho celebrate il Divin Sacrificio con piacere e commozione, ricordando le glorie mariane del passato.

L'altare di marmo del 1909 fu per la pia e generosa eremita il suo ultimo umile omaggio alia Madonna Bruna, che lei amava chiamare: "la Mora Nera", "la bella Zingarella". Era il canto del cigno. Difatti 1'anno seguente, il 18 febbraio 1910, dopo oltre 30 anni di fecondo ed edificante servizio alla chiesa di Canneto, ricca di meriti davanti al Signore e rimpianta da tutti, all'eta di 84 anni, chiudeva a Settefrati i suoi giorni. Qualche anno dopo, riprendeva la sua opera a Canneto una nuova eremita: Giuseppa Crolla di Picinisco.

 

39 II grande pellegrinaggio del 1910 (dal volume: A. lauri, Settefrati ed il Santuario di Canneto..., Sora 1910).                      Torna all'Indice

 

In tale anno Achille Lauri, storico sorano, nella sua monografia dal titolo: "Settefrati ed il Santuario di Canneto nella leggenda e nella sto-ria, Sora 1910", la prima vera pubblicazione del genere sulla nostra chiesa, tra 1'altro, traduce in cifre e in localita il pellegrinaggio alia Madonna Bruna di quell'anno durante i 5 giorni delle feste di agosto.

I devoti convenuti furono a un dipresso 60.000, accorsi da circa 170 paesi delle province di Caserta, Campobasso, L'Aquila e Roma. Di questi ne elenca nominalmente ben 94, che, come asserisce lo stesso autore, erano singolarmente da ricordarsi, perche davano un maggiore contingente di pellegrini. Ne trascriviamo qui, per ragioni di sintesi, un buon numero, raggruppandoli possibilmente per province e vallate.

La lunga lista inizia con Roccasecca, Aquino, Pontecorvo, Cassino, Cervaro, Piedimonte S.G., S. Elia F.R., Belmonte Castello, S. Giorgio a Liri, S. Apollinare, quindi prosegue, citando molti paesi del Sorano con Sora in testa; poi troviamo nella Valle Roveto: Balsorano, S. Vincenzo V.R., Civitella Roveto e Morino; quindi verso Roma: Anagni, Ferentino, Alatri, Veroli, Anticoli, Guarcino, Collepardo, Vico del Lazio, Fumone, Morolo, Supino; nel Frusinate: Frosinone, Roccasecca dei Volsci, Prossedi (Lt), Piperno (Lt), Ceccano, Ripi, Arnara, Torrice, Boville Ernica, Monte S. Giov. Campano, Ceprano, Castro dei Volsci, Pofi, Amaseno, Pastena, Vallecorsa, Formia (Lt).

Nel Cassinate: Esperia, S. Giov. Incar., Castrocielo, Caprile, S. Vittore nel L., Vallerotonda, Viticuso. Nelle valli del Volturno: Venafro, Isernia, Forll del Sannio, Baranello, Pizzone, Rocchetta al Volt., Carovilli, Mont'Aquila, Roccasicura, Capriati al Volt., Sesto Campano. Nel Fucino: Collungo; nell'alto e medio Sangro: Scanno, Alfedena, Civitella Alfedena, Villetta Barrea, Barrea, Opi, Pescasseroli, Pescocostanzo ed infine quasi tutti i paesi di Val Comino (Ibidem,pp. 17-18).

Con questa lunga enumerazione di nomi (molti altri, come gia’ precisato, sono stati omessi per le ragioni suddette) il pellegrinaggio di Canneto usciva dal suo secolare anonimato, che ne aveva fatto una indistinta ed informe moltitudine di gente senza una patria precisa, per rivelarsi un insieme grandiose di popoli con nomi, tradizioni, usi e costumi propri, confluenti dai luoghi piu diversi e lontani, per rendere alia Vergine di Canneto un corale tributo di amore e di riconoscenza.

Paesi e citta’, quelli menzionati, che insieme ad altre centinaia di nuove localita’, continuano ancora oggi a visitare ogni anno il nostro santuario.

Per la verita storica va qui segnalato il grosso abbaglio in cui incorre il Lauri in questa sua monografia, attribuendo alia nostra chiesa di S. Maria di Canneto sul Melfa le citazioni delle bolle papali e dei privilegi imperiali (indirizzati a Montecassino), che invece appartengono esclusivamente all’omonima chiesa di S. Maria di Canneto sul Trigno (Ibidem, pp. 21-23). La notevole svista, dovuta soprattutto all’omonimia delle due chiese benedettine sul Melfa e sul Trigno, fu da me doverosamente rilevata gia’ nel 1986 nella mia pubblicazione sulle "Abbazie benedettine" (p. 88 n. 187).

Continua...                                                       Mons. Dionigi Antonelli

 

 

 

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