Progettualita'
Minore.....
Quello che segue e’ solo invenzione letteraria ma questo
non significa che io non voglia dire il vero, al contrario, scrivere in
assoluta liberta’ e’ il solo modo che conosco per far emergere ex profundis
cose che premono per venire alla luce; ed e’ un bene per me sicuramente
estrarre dall’anima quel che vi germina, per il resto non saprei,
assolutamente non saprei. Dunque mettiamo:
Ho avuto un sogno e nel sogno mi e’ parso di tornare a
Settefrati, da solo, nel mese di giugno; una strana atmosfera rendeva
indistinti i tratti del paese, della gente; tutto sembrava ovattato, pochi
rumori, luce tenue, diffusa, tanta strana pace; capii dallo sviluppo del
sogno che ero approdato nel regno della morte. Nella rivisitazione dei
luoghi mi imbattei in una torre ripulita, senza fichi selvatici e sambuchi,
senza edere, senza vecchi lampioni di latta smaltata abbandonati fra i rovi;
una passerella leggera di legno conduceva all’interno della torre dove un
pavimento in pietra assolutamente nudo sembrava solo attendere qualcuno. Era
l’interno della Torre sicuramente una tomba, la tomba della mia anima, la
tomba di tutte le anime, la tomba del Cristo. Turbato lascio il luogo e mi
ritrovo avvolto in pensieri strani alla base della chiesa delle Grazie e
vedo un mandorlo in fiore ed un olivo; ricordo che questi due alberi erano
di casa qui’ e che per secoli non si erano piu’ visti e che al loro posto
era nato un noce ora distrutto da mano ignara. Ricordo che a Roma, ai Fori
Imperiali a pochi metri dalla tomba di Romolo e Remo e dalla tomba di Cesare
vi e’ un fico, un olivo ed una vite e che per millenni il popolo di Roma ha
coltivato questi tre alberi, ma il mio popolo non ha saputo coltivare un
mandorlo ed un olivo, il mio popolo per motivi oscuri non ha saputo
coltivare il mandorlo e l’ulivo delle Grazie. Devo, devo andare a Canneto e
mi avvio sempre nella nube dei miei pensieri; prima di arrivare vedo una
passerella in legno che sale verso uno dei luoghi dell’anima mia ; niente di
ardito; poche decine di metri ed un masso caro alla cui base una mano
pietosa aveva posto una pietra che suonava: “Narra una pia leggenda...” il
resto e’ noto. Scendo dalla passserella e continuo verso Canneto, verso
Capodacqua. Trovo ancora una pietra che ricorda che dietro una rete in un
giorno vi fu l’epifania di cui viviamo, che e’ cifra del perdono universale
di Dio. La pietra che si offri’ al mio sguardo aveva un tono accusatorio e
doloroso ; la Grande Profetessa e la sua Precorritrice avevano santificato
questo luogo, crocifisso poi per mano empia che gli inetti del tempo non
seppero fermare: il luogo, annunciava la pietra, attende la Resurrezione,
che certissimamente verra’, annunciata da abbondanti acque che canteranno un
canto nuovo. Mi sveglio ma dovrei dire torno a me stesso e, solo nella notte
della vita e del sole, rifletto sul dolore della vita, della mia persona,
della comunita’, della poesia e del bello, degli ulivi, delle torri, dei
mandorli. Sorrido pensando per un momento : progettualita’ minore : lapidi ,
passerelle per ricordare.... non mi pare che valga la pena di considerare
che forse, non si sa mai... No, non e’ il momento , non e’ ancora il
momento, siamo ancora nei tre giorni, che potrebbero essere tremila anni,
nulla mi dice che il grande risveglio, e’ imminente. Il popolo e’ spaurito e
preda di usurpatori che fingono di credere di essere capitani coraggiosi ma
di questi ultimi non hanno la tempra; anche quel filino di poesia, quella
fontanella che aveva sempre versato in giugno un pochino di acqua, anche
quel filino non c’e’ piu’ ed una atmosfera di resa avvolge tutto e tutti.
Ricordo Michele che cercava i segni della bellezza che e’ sinonimo di
resurrezione e si intristiva e nella tristezza poteva anche apparire un’eco
di cio’ la di cui mancanza dava tristezza; ricordo Antonio che credeva nella
resurrezione ma dava per scontato che essa non sarebbe giunta in tempo per
nessuno e che da questa saggia posizione traeva una malinconica pace ;
abbiamo creduto che forse nella vite e dell’ulivo vi fosse un lenimento
delle ferite dell’anima e cosi’ era, vi era lenimento; ma il mondo era
comunque perduto, irrimediabilmente perduto, i tre giorni sono veramente
terribili. Mi par di vedere che in un mondo non molto diverso da quello da
me narrato del mio sogno di passerelle e lapidi, nel vero regno dei morti,
Michele ed Antonio possano aver trovato amici poeti che si macerano l’anima
nella attesa dell’evento annunciato dalle lapidi che non ci sono, e che il
canto puro dei miei amici e dei loro nuovi amici poeti si accordi con il
canto di olivi e cipressi e tigli e rocce, e cieli ed inferi, un canto
corale e dolorossissimo: lo aveva detto Paolo : la Creazione attende
l’annuncio, la Creazione geme ed attende la liberazione; tutta la creazione
che piange e’ cullata dalla compassione dei poeti, che sono piu’ che
profeti; tutta la creazione geme sconsolata, geme cosi’ perdutamente che a
volte dimentica di apporre lapidi e fa crescere sambuchi e rovi. Settefrati,
Settefrati, che tieni in poco conto il tuo mandato profetico: avresti dovuto
con maggiore energia annunciare alle ”ville circostanti” la Verita’ che
tanto ci sublima: hai lasciato chiudere Capodacqua, hai dimenticato il Capo
della Madonna, hai ridotto la tua Torre in uno stato vergognoso; ti stai
perdendo in un roveto di miserie ed hai dimenticato il profumo del mandorlo.
Mi par di vedere Antonio e Michele, mi par di vedere Petrarca e Dante, mi
par di vedere Santa Silvana ed Alberico, mi par di vedere la loro tristezza,
mi par di capire che i tre giorni saranno troppo lunghi per il mio cuore
come furono troppo lunghi per il cuore dei miei amici. Ahime’ quanta
malinconia.
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11/5/03